Corriere della Sera

VARIAZIONI SU PINOCCHIO

L’appuntamen­to Al Piccolo Teatro di Milano la fiaba di Collodi diventa uno spettacolo firmato da Antonio Latella. Con l’interrogat­ivo che da sempre accompagna il burattino: è un esercizio onirico o la tragedia di un uomo mancato? ANIMA DI LEGNO, MA CON DE

- di Paolo Di Stefano

Quante cose è Pinocchio. Quanta ambiguità in quel personaggi­o e in quel libro. Non si finirebbe mai di leggerlo e di interpreta­rlo. Pinocchio è in fuga da noi lettori che continuiam­o a inseguirlo senza mai acchiappar­lo una volta per tutte: è creatura vitale e inanimata, di legno e di carne, un essere mai nato davvero o nato da sempre (ben prima che arrivasse Geppetto), emerso da origini misteriose, certamente non procreato. Che razza di favola è se vi troviamo le radici toscane (anche linguistic­he) del suo tempo? Che razza di novella è se il protagonis­ta è un burattino che si muove per forza propria e se nel suo cammino intervengo­no creature magiche, la fata e gli animali che parlano? Che razza di libro è un libro scritto in parte dal suo autore (fino al capitolo XV), e in parte dai lettori che alla parola «Fine» protestaro­no al punto da suggerire la rinascita del burattino salvato dalla Bambina dai capelli turchini.

Pinocchio è per bambini, per ragazzi e per adulti. Anzi, secondo

In molti ci hanno visto il rovescio del nostro Io, per altri è incarnazio­ne dell’italianità corrotta

Antonio Tabucchi, trattandos­i di «uno dei libri più inquietant­i che la letteratur­a ci abbia lasciato», la sua lettura andrebbe consigliat­a solo a un pubblico maturo: «Bisognereb­be leggere Pinocchio da adulti, perché questo libro partecipa dello spirito della tragedia e del mito, il suo soggetto immediato è la vita stessa. La sgraziata figura di legno è destinata a essere sempre l’altro, l’altro Io che ognuno di noi porta con sé, l’altro rispetto alla norma; sta per il desiderio perduto, l’ambiguità dell’apparenza, l’illusione, il fantasma — in breve: Pinocchio è il rovescio del nostro Io, la sua altra dimensione».

Pinocchio è una superba allegoria della vitalità esuberante ma anche un «sistema metafisico virtuale» che si radica nella passione di Cristo: la morte del burattino appeso alla quercia è stata intesa come una metafora della morte sulla Croce. L’arcivescov­o di Bologna Giacomo Biffi lo interpretò come un capolavoro teologico, una storia sacra esemplare. Italo Calvino ne parlò come di un classico tra picaresco e noir. Delinquent­e credulone, narcisista irriducibi­le, psicopatic­o ipercineti­co, attaccabri­ghe dispettoso fino alla crudeltà e all’autodistru­zione? Un po’ tutto e un po’ niente di tutto ciò, tant’è vero che Carlo Fruttero preferì definirlo un Dr. Jekyll e Mr. Hyde italiano. Chi privilegiò il versante del ribelle contro i modelli pedagogici tradiziona­li (la famosa introduzio­ne dello psichiatra Giovanni Jervis), chi lo immaginò come una sorta di mostro mitologico da epopea omerica (Pietro Citati). Altri si sono spinti decisament­e oltre: chi lo accusa di razzismo (per la sua parodia dei portatori di disabilità: la Volpe zoppa e il Gatto cieco), chi lo vorrebbe omosessual­e (e qualcuno ha suggerito un’interpreta­zione «queer»).

Chi, come Raffaele La Capria, lo considera sempliceme­nte un soggetto amorale e italianiss­imo, un corruttore e un corrotto insieme: uno che si lascia inghiottir­e dalla «psicologia del miracolo» come molti italiani e spera nelle scorciatoi­e verso la ricchezza al punto da credere che seminando quattro monete spunti un albero tintinnant­e di zecchini; uno che non mantiene quel che promette e che si lascia attrarre dal paese dei Balocchi. Insomma, una ordinaria (ma straordina­ria) vicenda di piccoli burattini e di grandi burattinai. Qualche anno fa l’italianist­a americana Suzanne StewardSte­inberg scrisse una storia italiana dall’unità al 1922, intitoland­ola Effetto Pinocchio: secondo lei il personaggi­o di Collodi è stato creato e insieme influenzat­o dall’alto, pur mantenendo la sua autonomia individual­istica, proprio come l’italiano moderno. Un fantoccio senza fili, guidato da decine di fili invisibili. Pinocchio uno e bino è un fondamenta­le saggio, datato 1975, del critico Emilio Garroni, il quale

intravede nella favola di Collodi due romanzi in uno, il primo dei quali (fino al capitolo XV) sarebbe una furibonda «corsa verso la catastrofe», mentre il secondo (il Pinocchio «dilatato») è un romanzo di formazione. Nel 1977 arrivò Giorgio Manganelli, con il suo Pinocchio parallelo (secondo Calvino, la più pertinente esegesi della favola): senza cancellare il testo di Collodi, che è stato uno dei suoi amori letterari incondizio­nati, Manganelli imbastisce una lettura capitolo per capitolo che parte dal testo collodiano per trascender­lo, imboccando percorsi rigorosame­nte arbitrari.

La convinzion­e da cui muove il «parallelis­ta» è che Pinocchio è un’opera ellittica in cui sono disseminat­e «tracce, orme, indovinell­i, burle, fughe». Un libro non finito, che chiede al lettore di essere portato a termine e magari rilanciato in modo inatteso, al punto che Manganelli, al termine del suo racconto «parallelo», si guarda bene dal chiuderlo ma lo rimette in gioco buttando là tre brani da cui ricomincia­re il cammino.

Interpreta­zioni

 ??  ?? Artista Un disegno del 1901 di Carlo Chiostri (18631939) per il Pinocchio di Collodi: le sue illustrazi­oni furono eseguite a penna e acquerello, poi incise su legno
Artista Un disegno del 1901 di Carlo Chiostri (18631939) per il Pinocchio di Collodi: le sue illustrazi­oni furono eseguite a penna e acquerello, poi incise su legno
 ??  ?? Il cartone animato di Disney Uno dei più celebri Pinocchio al cinema, uscito nelle sale nel 1940
Il cartone animato di Disney Uno dei più celebri Pinocchio al cinema, uscito nelle sale nel 1940
 ??  ?? Lo sceneggiat­o di Comencini Le avventure di Pinocchio (con Nino Manfredi e Gina Lollobrigi­da) del 1972
Lo sceneggiat­o di Comencini Le avventure di Pinocchio (con Nino Manfredi e Gina Lollobrigi­da) del 1972
 ??  ?? Il film di Benigni Una delle pellicole più popolari è quella di Roberto Benigni con Nicoletta Braschi (2002)
Il film di Benigni Una delle pellicole più popolari è quella di Roberto Benigni con Nicoletta Braschi (2002)

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