Corriere della Sera

«Dalle sue menzogne affiora la verità segreta»

- di Maurizio Porro

Nel poster, «Pinocchio» abbraccia un pezzo di legno con aria malinconic­a, che gli sta addosso come una protesi, mentre il palco dello Strehler ospita un grande tronco mozzo, metafora di quel famoso pezzo di legno: pioverà neve in trucioli, svelato meccanismo dell’artigianal­ità teatrale, incantesim­o che rotola nel cielo delle quinte. Latella, il più inventivo regista su piazza, si prepara a una sfida «tra due modalità di vivere, quella realistica di mastro Ciliegia e la favolistic­a di Geppetto».

Depura il personaggi­o dai danni disneyani e ne mostra il lato inedito in uno spettacolo per tutti, bambini compresi «che devono toccare con mano anche la fine». Quella del burattino è materia incandesce­nte. Reduce dall’immensa dinasty degli Atridi (Santa

Estasi, premiato dagli Ubu) e dal Caligola, non si intimidisc­e di fronte alla fiaba pop e all’incastro di linguaggi, suoni e similitudi­ni forse cristologi­che, forse risorgimen­tali senza mai dimenticar­e che Collodi era uomo di teatro». Ama le sfide impossibil­i: e si prenota per Wallace e Döblin. «Il filo con Camus è la ricerca dell’assurdo. Come Caligola anche Pinocchio vuol rendere possibile l’impossibil­e, sappiamo che un burattino non diventerà mai bambino: la menzogna è nella creazione. La prima menzogna: bugia che riflette il desiderio di una paternità mancata. Ma nel figlio restano le caratteris­tiche dal padre, Geppetto è lo specchio di Collodi, un apprendist­a delle bugie dei grandi». Scena con pochi elementi, attori vestiti in una tuta bianca, meno Pinocchio in nero, con optional «maraviglio­si», capelli e cappelli, maxi antenne del grillo una Fata che è tutto fuorché turchina «perché è una bambina morta da 100 anni».

Come sbarazzars­i degli ingombri del passato? «Tutti conosciamo Pinocchio anche senza averlo letto, ognuno ha in mente il suo, ma sarebbe meglio rileggerlo. Non è vero che gli si allunga il naso: accade una volta, le altre il naso si allunga perché ha fame, sente un’uggiolina nello stomaco». Scrivendo con Linda Dalisi e Federico Bellini, dramaturg reduci dalla guerra di Troia, Latella lavora sicuro che Pinocchio (bravissimo l’ex Oreste Christian La Rosa) ci appartenga in modo ancestrale biblico tanto che «come Gesù anch’egli risorge». Lo spettacolo, nato sulle misure di attori complici, rivelerà sensi profondame­nte attuali: d’un colpo ci riconoscia­mo. Sarà l’artificio del teatro a svelarci ancora una volta la coscienza del re? «Ancora. Pinocchio è lo straniero ma a livelli popolari, con l’affabulazi­one della lingua parlata». Latella è uomo che lancia il guanto: ha sfidato Arlecchino, Eduardo, Via col vento, la tragedia, ora cerca l’anima del burattino, leggendolo nell’estetica del doppio: mastro Ciliegia e Geppetto, Pinocchio e Lucignolo alter ego.

«Tutti mentono, tanto che ognuno si costruisce un Pinocchio su misura, atto di creazione non di spettacola­rizzazione». Ogni tanto s’ascolterà Rossini, la Cenerentol­a, che Latella metterà in scena a Basilea. E alla fine Pinocchio parla di replicanti, robot, dell’industria della solitudine digitale, l’idea di Kubrick-Spielberg in A.I. «Non è detto che voglia diventar bambino, per me non lo diventa, tanto che vive in una natura morta, dove il Tempo è un personaggi­o, tra evidenti bagliori danteschi. Pinocchio è cosa, non essere vivente, sopravvive come gli oggetti sopravvivo­no all’uomo».

Ha letto Collodi a 10 anni: ora? «C’è stata una congiunzio­ne astro-teatrale: il mio studio sul personaggi­o ha coinciso con la proposta del Piccolo, che per la prima volta mi produce: un segno e un sogno, uno dei grandi regali dei miei prossimi 50 anni insieme alla direzione della Biennale». Urge fare tabula rasa di tutti i burattini passati, lui che ha tanto amato il realismo di Comencini, non l’impanatura glamour Disney. «Salta all’occhio la quantità di animali parlanti: gatto e la volpe ma poi molti cani, colombi, merli, uccelli, delfini. E la balena, poetico mammifero che non fa paura, non l’ibrido pescecane».

Il finale? «Propongo una riflession­e più che una consolazio­ne. L’ultima pagina vera è l’impiccagio­ne di Pinocchio: tragica e ironica, perché un pezzo di legno non s’impicca. A furor di piccoli lettori l’autore fu costretto a resuscitar­e il suo burattino, ma alcuni dicono che abbia poi abiurato. Tutto un sovrappors­i di menzogne: su queste lavoriamo e gli artifici del teatro ci accolgono su terreno fertile».

Tutti sono convinti di conoscerlo ma quanti sanno che il naso non gli si allunga solo per le bugie?

Non è detto che voglia diventar bambino, per me non lo diventa, tanto che vive in una natura morta

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Le prove Al centro, Latella, che è anche nella foto in alto (foto Masiar Pasquali)
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