Corriere della Sera

Il maestro Chung punto di forza del «Don Carlo»

- Di Enrico Girardi

La nuova edizione di Don Carlo della Scala supera l’esame della scena lasciando però l’impression­e che potrebbe esser meglio di quanto non sia apparsa al debutto dell’altra sera. Detto che l’opera di Verdi si esegue nella versione di Modena in 5 atti, ma con l’opportuna riapertura del taglio della scena introdutti­va del primo, rivela un punto di forza nella direzione di Myung-Whun Chung e uno di debolezza nella regia di Peter Stein. Il primo governa le 5 ore di spettacolo con un senso vigoroso del ritmo e dell’intensità drammatica e con una cura meticolosa delle sonorità di questa partitura. Concede qualcosa ai cantanti (se Posa rallenta la Ballata o Eboli allunga il velo, perché recuperare il tempo perduto nelle code orchestral­i?) ma è un dettaglio in un quadro esecutivo di alto livello, in cui anche il Coro di Casoni fa eccome la sua parte. Il regista, la cui levatura produce aspettativ­e, realizza una messinscen­a fredda, abulica, senza identità. E non v’è ombra di un’emozione in un’opera disuguale e complessa ma che di emozioni ne regala a non finire. Dove lo spettacolo può migliorare, e molto, è nell’apporto del cast. Perché l’atteso Francesco Meli sembra nervoso e si scioglie solo a tratti ma può essere un maiuscolo Don Carlo. Il Posa di Simone Piazzola ha voce bella e nobile ma difetta di personalit­à. Debole la Eboli di Ekaterina Semenchuk, cavernoso il Grande Inquisitor­e di Eric Halfvarson. Piace l’Elisabetta di Krassimira Stoyanova ma potrebbe far meglio. Alla fine, gli applausi più sentiti li merita il vecchio Ferruccio Furlanetto (Filippo II). Fatica, certo, ma con lui in scena lo spettacolo lievita.

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In rosso Krassimira Stoyanova nei panni di Elisabetta

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