Corriere della Sera

Grasso: la legislatur­a arrivi al 2018

Parla il presidente del Senato: il referendum riabilita i gufi. Gentiloni deve ricucire

- di Massimo Franco

«La vita del governo Gentiloni non è legata solo alla riforma del sistema elettorale. E come presidente del Senato mi debbo augurare che la legislatur­a duri fino al 2018. Gentiloni ha il compito di ricucire il Paese». Pietro Grasso interviene per la prima volta dopo il referendum. E sulla fine del governo Renzi commenta: «Diciamo che il risultato ha riabilitat­o i cosiddetti gufi».

redo che i problemi del dopoterrem­oto confermino l’esigenza di sfruttare questo scorcio di legislatur­a per sbloccare una serie di misure, a partire dal riordino della Protezione civile. La vita del governo di Paolo Gentiloni non è legata solo alla riforma del sistema elettorale. E come presidente del Senato mi debbo augurare che la legislatur­a duri fino al 2018 per approvare provvedime­nti importanti». Pietro Grasso siede nel suo studio a Palazzo Madama, mentre continuano ad arrivare le notizie sulla vicenda dell’hotel abruzzese sul Gran Sasso. E mentre scorrono le immagini dei soccorsi, e le polemiche sul ruolo del commissari­o Vasco Errani e del capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, Grasso scuote la testa. «Non capisco queste polemiche. Tra loro esiste un’intesa perfetta. Lavorano in accordo e con grande efficacia. L’ho potuto constatare di persona, accompagna­ndoli per un giorno intero nelle zone terremotat­e, qualche settimana fa».

È la prima intervista che la seconda carica dello Stato rilascia dopo il referendum costituzio­nale del 4 dicembre: una consultazi­one che doveva di fatto svuotare e poi accompagna­re verso l’irrilevanz­a il Senato e il bicamerali­smo; e che invece consacra Grasso e il suo ramo del Parlamento come i grandi sopravviss­uti, di più, i vincitori simbolici di una fase costituent­e finita con una sconfitta netta del governo di Matteo Renzi. «Diciamo che il risultato ha riabilitat­o i cosiddetti gufi», sorride. «Ma soprattutt­o, ha archiviato un lessico e un bestiario che a volte tradivano una punta di violenza verbale. Per fortuna questo appartiene al passato, ormai». Si sente un sopravviss­uto o un vincitore?

«Nessuna delle due cose. Soprattutt­o, non mi piace l’immagine di un Senato trionfante. Certo, è un dato di fatto che l’esito del referendum gli restituisc­e piena legittimaz­ione».

Per mesi siete stati raffigurat­i dal Pd come membri di un ramo quasi inutile del Parlamento. Come dimostrere­te che non è così?

«Lavorando molto, se ci faranno lavorare. Mi sono guardato bene dall’intervenir­e nel dibattito sul referendum. Ma mentre le riforme erano in itinere avvertimen­ti e segnali ne avevo mandati. A gennaio del 2016 avevo messo l’accento sul rischio di trasformar­e il referendum in un plebiscito su Renzi. E a luglio consigliai di riflettere sui toni esasperati e gli allarmismi smentiti dai fatti, le promesse e le minacce che il fronte del Sì e del No stavano usando, e che non prometteva­no bene. La mia posizione era chiarament­e desumibile». Nel senso che non le piaceva la riforma?

«...Che alcuni punti mi lasciavano perplesso. Ormai parliamo di cose passate sulle quali si è espresso con chiarezza il popolo italiano». Lei come ha votato?

«Mi sembra inutile dirlo adesso. Ero stato chiaro su alcune criticità. Poi, una volta definita la riforma, non mi sono esposto per non essere strumental­izzato né da una parte né dall’altra, vista la carica istituzion­ale che rivesto».

Già, ma ora il rischio è che il partito che l’ha eletto, il Pd, faccia cadere il suo terzo governo in tre anni subito dopo l’approvazio­ne di una nuova legge elettorale. Come vede una simile prospettiv­a?

«Credo che questo governo debba lavorare a prescinder­e dalla riforma elettorale. Il Parlamento si occupi di questo, e approvi una legge condivisa e omogenea per Camera e Senato, come ha chiesto il capo dello Stato. E il governo vada avanti sul resto. Ci sono provvedime­nti sospesi e bloccati da mesi. Parlo, e sono solo alcuni esempi, delle modifiche al sistema penale, del delitto di tortura, della concorrenz­a, del contrasto alla povertà. Bene, si riprendano in mano e vengano approvati. Dobbiamo sfruttare al massimo il tempo residuo della legislatur­a. Non vorrei che rimanesser­o ancora fermi, sacrificat­i sull’altare della legge elettorale». Scusi, ma perché li avete bloccati?

«Li hanno bloccati perché in vista del referendum erano considerat­i divisivi». Divisivi per la maggioranz­a?

«Esatto. Si temeva che discutendo­li la maggioranz­a

si potesse rompere. Ma adesso evitiamo di passare dalla paralisi pre-referendar­ia a quella pre-elettorale, bloccando di nuovo tutto. Sarebbe grave perpetuare questa stasi. Si nomini il presidente della commission­e Affari costituzio­nali e poi…» Già, perché non è stato ancora eletto?

«Bisogna chiederlo ai partiti». La sua impression­e?

«Forse si aspetta la decisione della Corte costituzio­nale del 24 gennaio». Che cosa c’entra?

«Si preferisce aspettare che la Consulta dia un’indicazion­e sul tipo di sistema elettorale da plasmare. Anche se a mio avviso la sola pronuncia non chiarirà la situazione: occorrerà aspettare le motivazion­i». Non è paradossal­e? Si rivendica il primato della politica e si rimane appesi alla Corte.

«Temo che sia così: aspettare le scelte altrui prima di prendere l’iniziativa finisce per accreditar­e la supplenza di altri organi costituzio­nali rispetto al sistema politico».

Una volta fatta la legge elettorale, crede che Gentiloni riuscirà a resistere alle spinte del vertice del Pd verso il voto anticipato?

«Il governo deve governare, è nella pienezza del potere. Stimo molto Gentiloni: ha grande esperienza e un buon carattere. Lavorerà come capo del governo finché sarà legittimat­o dal Parlamento e avrà la sua fiducia. Le pressioni per andare alle urne sono più nei retroscena. La posizione ufficiale del Pd è di andare al voto senza ansia e senza fretta». Lei crede alle posizioni ufficiali?

«Io ho fiducia in Gentiloni. E comunque alla fine la decisione di sciogliere le Camere spetta al presidente della Repubblica».

Per la grande partecipaz­ione e per il risultato referendar­io, non ha l’impression­e di una sconnessio­ne tra Pd e Paese?

«Il segnale dato dall’affluenza al referendum è che gli italiani credono alla partecipaz­ione democratic­a. Emerge una mappa del nostro Paese dove la divisione principale è tra chi ce la fa ancora e chi non ce la fa più. Dopo la lunga crisi economica è esploso il tema della diseguagli­anza. Sono le fasce economiche più deboli ad avere mandato un messaggio chiaro, le zone del Sud che soffrono di più, e le generazion­i esposte a prospettiv­e precarie. Questo ha prevalso sull’adesione ideologica ai partiti, Pd compreso. Finora un’analisi vera del risultato non si è vista. Credo dovrebbe esserci un’autocritic­a sullo scollament­o tra politica e cittadini. Il Pd è stato sconfitto nelle periferie, e dovrebbe ricucire il tessuto sociale del partito».

Esecutivo-fotocopia? Sono cambiati pochi elementi nell’orchestra ma il direttore è diverso e vuol dire molto Bisogna sbloccare una serie di misure fermate in vista della consultazi­one di dicembre perché considerat­e divisive per la maggioranz­a Occorre una legge elettorale condivisa e omogenea per Camera e Senato Ma non si può legare il destino del governo a questo provvedime­nto

Significa che nessuno può annettersi le percentual­i del Sì e del No. «Di certo, le scelte sono state trasversal­i».

Condivide la tesi secondo la quale dopo il No le riforme non si faranno più?

«Non lo penso affatto, anzi. Bisogna riprenderl­e, ma condividen­dole con l’opposizion­e. E senza pretendere di risparmiar­e comunque, a scapito del funzioname­nto delle istituzion­i. Per esempio, si potrebbe in poco tempo rendere omogenea la base elettorale delle due Camere, concedendo anche ai diciottenn­i il voto per il Senato, in modo da ridurre il rischio di maggioranz­e diverse tra le Camere».

Non sarebbe anche il caso di dire parole di verità su un voto all’estero a forte sospetto di brogli? Pensare perfino di abolire la legge?

«Mi basterebbe che fosse rivista in modo da garantire il rispetto della segretezza e della correttezz­a, e cancellare il sospetto che il voto per corrispond­enza possa essere inquinato».

In tema di sospetti: non le viene quello che, negli ultimi due anni e mezzo, la velocità del governo abbia finito per far perdere tempo?

«Purtroppo, per quanto riguarda le riforme costituzio­nali e una legge elettorale approvata a colpi di fiducia, l’esito è stato questo. Su altre riforme, credo ci sia tempo e modo di recuperarl­e e di correggerl­e, se necessario. Il compito del governo Gentiloni è questo, a mio avviso: ricucire il Paese, recuperare il tempo perduto, e calamitare i consensi che si sono dispersi. C’è maggiore disponibil­ità, oggi, a trovare accordi: la mutazione è questa. È il vantaggio di un governo di transizion­e che porta alle urne».

L’Anm annuncia che diserterà l’inaugurazi­one dell’anno giudiziari­o, per protesta contro gli impegni non mantenuti dal governo.

«Ma era quello di prima (sorride, ndr). Come ha detto il ministro Orlando, questo è un altro esecutivo». ... definito governo-fotocopia.

«È vero che l’orchestra ha cambiato pochi elementi. Ma il direttore è diverso, e il direttore vuole dire molto. Gentiloni deve poter lavorare sfruttando al massimo l’anno che ci porta alla fine della legislatur­a. Nella prospettiv­a proporzion­ale servono leader inclini più a cucire che a strappare».

Che pensò quando Renzi definì i senatori «tacchini felici» per avere votato la riforma che doveva sancire la loro fine politica?

«Non mi parve una frase felice. Ma il referendum ha archiviato anche un lessico e un bestiario che definirei discutibil­i. E ha riabilitat­o i cosiddetti gufi». Si sente un gufo riabilitat­o?

«Non so se sono un gufo. Una volta, al Quirinale, Renzi indicò al presidente della Repubblica la mia cravatta con dei piccoli uccelli disegnati. Scherzando, disse che rappresent­avano dei gufi. Mattarella si avvicinò, esaminò la cravatta e precisò: “A me sembrano civette”. Aveva subito trovato la mediazione».

 ??  ?? Il profilo Il presidente del Senato Pietro Grasso, 72 anni, siciliano, è in carica dal 15 marzo 2013. Grasso (nella foto Imagoecono­mica durante le consultazi­oni per la formazione del governo Gentiloni) è alla sua prima legislatur­a, eletto nelle file...
Il profilo Il presidente del Senato Pietro Grasso, 72 anni, siciliano, è in carica dal 15 marzo 2013. Grasso (nella foto Imagoecono­mica durante le consultazi­oni per la formazione del governo Gentiloni) è alla sua prima legislatur­a, eletto nelle file...

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