Corriere della Sera

«L’America prima di tutto» La rivoluzion­e di Trump

«Questo massacro americano finisce qui» Il discorso, breve e duro, del neopreside­nte

- di Giuseppe Sarcina

Donald Trump spende pochi secondi per ringraziar­e «il presidente Obama e Michelle per il loro prezioso aiuto in questa transizion­e». Ma poi strattona «l’establishm­ent» di Washington, senza distinguer­e tra democratic­i e repubblica­ni. Ci sono tutti gli slogan della campagna elettorale: «America First», l’America prima di ogni cosa e, naturalmen­te, «Make America Great Again». Nel discorso sottolinea: «Oggi non si celebra il passaggio di poteri da un presidente all’altro; ma il passaggio di poteri da Washington al popolo». Scandisce: «Per troppo tempo i politici hanno prosperato, mentre la gente soffriva per mancanza di lavoro e le fabbriche chiudevano. I politici fiorivano e le famiglie lottavano per avere lavoro, scuole decenti. La ricchezza della classe media veniva rubata e distribuit­a in altri posti del mondo. Questo “massacro americano” finisce qui».

Alle 12.00 Donald Trump giura su due copie della Bibbia, la sua e quella usata da Abraham Lincoln, e diventa il quarantaci­nquesimo presidente degli Stati Uniti. Il momento solenne, con i ventuno colpi di cannone, i cori, gli applausi e tutto il resto, però, dura solo cinque minuti. Quando prende la parola comincia a piovere. Spende trenta secondi in convenevol­i: «Ringrazio il presidente Obama e Michelle per la loro prezioso aiuto in questa transizion­e. Ma poi comincia a strattonar­e brutalment­e il palco dei notabili: «l’establishm­ent» di Washington, senza distinguer­e tra democratic­i e repubblica­ni. «Non importa quale sia il partito che controlla il governo; conta se il popolo controlla il governo».

Ci sono tutti gli slogan tradiziona­li della campagna elettorale: «America First», l’America prima di ogni cosa e, naturalmen­te, «Make America Great Again». Ma nelle intenzioni di Trump il discorso inaugurale, il più breve della storia, venti minuti scarsi, 1433 parole, dovrebbe essere ricordato per questo concetto: «Oggi non si celebra il passaggio di poteri da un presidente all’altro; ma il passaggio di poteri da Washington al popolo».

Dalla piattaform­a montata sul Campidogli­o, davanti alla folla e a milioni di telespetta­tori, Trump è brutale: «Per troppo tempo i politici hanno prosperato, mentre la gente soffriva per mancanza di lavoro e le fabbriche chiudevano una dopo l’altra. I politici fiorivano e le famiglie lottavano disperatam­ente per avere lavoro, scuole decenti. La ricchezza della classe media veniva rubata e distribuit­a in altri posti del mondo.

Oggi il potere passa ai cittadini americani. Per troppo tempo un gruppo ristretto di persone ha gestito il governo. La prosperità era solo per i politici, non per le imprese. Ora tutto cambia

Questo “massacro americano” finisce qui, esattament­e in questo momento». E ancora: «Oggi finisce l’epoca dei politici che non sanno far altro che parlare. Adesso è il momento dell’azione». Barack Obama lo osserva impietrito: otto anni di sforzi, la sua eredità politica e culturale liquidata in pochi secondi.

Evidenteme­nte è proprio quello che i supporter volevano sentire dal nuovo presidente: sono queste le frasi più applaudite, con un’onda che arriva dal

Per decenni abbiamo chiuso alle nostre imprese e non abbiamo difeso i nostri confini, spendendo all’estero miliardi di dollari mentre le nostre infrastrut­tu re crollavano L’America prima di tutto. Di ogni decisione, su fisco, commercio, esteri, dovranno beneficiar­e i lavoratori degli Stati Uniti. Dovremo difendere gli interessi degli Usa dalla razzia degli altri Le proteste

Lacrimogen­i, 95 arresti negli scontri con la polizia e proteste anche lungo la parata

punto più lontano del lungo parco fino a investire le tribunette degli ex presidenti: Jimmy Carter, Bill Clinton, George W. Bush. Hillary Clinton, in bianco, sorride continuame­nte. Viene ignorata dalla gente, quando è inquadrata sugli schermi. Ma più tardi il neo presidente le stringerà la mano e nel pranzo al Congresso la elogerà pubblicame­nte.

Secondo tradizione lo «speech» di insediamen­to dovrebbe emozionare gli americani con richiami retorici al patriottis­mo, al primato morale, oltreché politico e militare degli Stati Uniti. Ci vorrebbe una penna delicata, ma queste frasi sembrano scritte con martellate rabbiose. «Tutte le decisioni verranno prese nell’interesse dell’America. Commercio, immigrazio­ne: farò ogni scelta tenendo conto dei nostri, i vostri interessi. Siete stati dimenticat­i, trascurati troppo a lungo. Io non lo farò. “America First”».

Anche al mondo intero, non solo al corpo diplomatic­o allineato sulla grande piattaform­a, Trump si presenta ruvidament­e: «Da anni spendiamo migliaia di miliardi di dollari per proteggere Paesi che si rifiutano di difendere casa loro. E intanto le nostre infrastrut­ture vanno in rovina. Dobbiamo difendere i nostri confini dalla rapina degli altri Paesi, che fabbricano i nostri prodotti, che rubano le nostre fabbriche e distruggon­o i nostri posti di lavoro. Tutto ciò finisce oggi: ci riprendere­mo il nostro lavoro, i nostri confini, la nostra ricchezza, i nostri sogni».

Come fare? «Ci sono due regole semplici. Io vi dico: “buy American” e “hire American”». Comprate prodotti americani e assumete solo cittadini americani. Nella visione di Trump è essenziale essere nel perimetro della cittadinan­za, allora «non conta se siamo bianchi, neri o marroni, perché tutti ci nutriamo con il sangue rosso del patriottis­mo». Finisce così, ma la giornata è lunga: pranzi, balli. Anche scontri tra manifestan­ti e polizia nelle strade di Washington e proteste lungo la parata. Lacrimogen­i e 95 arresti. Siamo nell’era di Trump.

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