«L’America prima di tutto» La rivoluzione di Trump
«Questo massacro americano finisce qui» Il discorso, breve e duro, del neopresidente
Donald Trump spende pochi secondi per ringraziare «il presidente Obama e Michelle per il loro prezioso aiuto in questa transizione». Ma poi strattona «l’establishment» di Washington, senza distinguere tra democratici e repubblicani. Ci sono tutti gli slogan della campagna elettorale: «America First», l’America prima di ogni cosa e, naturalmente, «Make America Great Again». Nel discorso sottolinea: «Oggi non si celebra il passaggio di poteri da un presidente all’altro; ma il passaggio di poteri da Washington al popolo». Scandisce: «Per troppo tempo i politici hanno prosperato, mentre la gente soffriva per mancanza di lavoro e le fabbriche chiudevano. I politici fiorivano e le famiglie lottavano per avere lavoro, scuole decenti. La ricchezza della classe media veniva rubata e distribuita in altri posti del mondo. Questo “massacro americano” finisce qui».
Alle 12.00 Donald Trump giura su due copie della Bibbia, la sua e quella usata da Abraham Lincoln, e diventa il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti. Il momento solenne, con i ventuno colpi di cannone, i cori, gli applausi e tutto il resto, però, dura solo cinque minuti. Quando prende la parola comincia a piovere. Spende trenta secondi in convenevoli: «Ringrazio il presidente Obama e Michelle per la loro prezioso aiuto in questa transizione. Ma poi comincia a strattonare brutalmente il palco dei notabili: «l’establishment» di Washington, senza distinguere tra democratici e repubblicani. «Non importa quale sia il partito che controlla il governo; conta se il popolo controlla il governo».
Ci sono tutti gli slogan tradizionali della campagna elettorale: «America First», l’America prima di ogni cosa e, naturalmente, «Make America Great Again». Ma nelle intenzioni di Trump il discorso inaugurale, il più breve della storia, venti minuti scarsi, 1433 parole, dovrebbe essere ricordato per questo concetto: «Oggi non si celebra il passaggio di poteri da un presidente all’altro; ma il passaggio di poteri da Washington al popolo».
Dalla piattaforma montata sul Campidoglio, davanti alla folla e a milioni di telespettatori, Trump è brutale: «Per troppo tempo i politici hanno prosperato, mentre la gente soffriva per mancanza di lavoro e le fabbriche chiudevano una dopo l’altra. I politici fiorivano e le famiglie lottavano disperatamente per avere lavoro, scuole decenti. La ricchezza della classe media veniva rubata e distribuita in altri posti del mondo.
Oggi il potere passa ai cittadini americani. Per troppo tempo un gruppo ristretto di persone ha gestito il governo. La prosperità era solo per i politici, non per le imprese. Ora tutto cambia
Questo “massacro americano” finisce qui, esattamente in questo momento». E ancora: «Oggi finisce l’epoca dei politici che non sanno far altro che parlare. Adesso è il momento dell’azione». Barack Obama lo osserva impietrito: otto anni di sforzi, la sua eredità politica e culturale liquidata in pochi secondi.
Evidentemente è proprio quello che i supporter volevano sentire dal nuovo presidente: sono queste le frasi più applaudite, con un’onda che arriva dal
Per decenni abbiamo chiuso alle nostre imprese e non abbiamo difeso i nostri confini, spendendo all’estero miliardi di dollari mentre le nostre infrastruttu re crollavano L’America prima di tutto. Di ogni decisione, su fisco, commercio, esteri, dovranno beneficiare i lavoratori degli Stati Uniti. Dovremo difendere gli interessi degli Usa dalla razzia degli altri Le proteste
Lacrimogeni, 95 arresti negli scontri con la polizia e proteste anche lungo la parata
punto più lontano del lungo parco fino a investire le tribunette degli ex presidenti: Jimmy Carter, Bill Clinton, George W. Bush. Hillary Clinton, in bianco, sorride continuamente. Viene ignorata dalla gente, quando è inquadrata sugli schermi. Ma più tardi il neo presidente le stringerà la mano e nel pranzo al Congresso la elogerà pubblicamente.
Secondo tradizione lo «speech» di insediamento dovrebbe emozionare gli americani con richiami retorici al patriottismo, al primato morale, oltreché politico e militare degli Stati Uniti. Ci vorrebbe una penna delicata, ma queste frasi sembrano scritte con martellate rabbiose. «Tutte le decisioni verranno prese nell’interesse dell’America. Commercio, immigrazione: farò ogni scelta tenendo conto dei nostri, i vostri interessi. Siete stati dimenticati, trascurati troppo a lungo. Io non lo farò. “America First”».
Anche al mondo intero, non solo al corpo diplomatico allineato sulla grande piattaforma, Trump si presenta ruvidamente: «Da anni spendiamo migliaia di miliardi di dollari per proteggere Paesi che si rifiutano di difendere casa loro. E intanto le nostre infrastrutture vanno in rovina. Dobbiamo difendere i nostri confini dalla rapina degli altri Paesi, che fabbricano i nostri prodotti, che rubano le nostre fabbriche e distruggono i nostri posti di lavoro. Tutto ciò finisce oggi: ci riprenderemo il nostro lavoro, i nostri confini, la nostra ricchezza, i nostri sogni».
Come fare? «Ci sono due regole semplici. Io vi dico: “buy American” e “hire American”». Comprate prodotti americani e assumete solo cittadini americani. Nella visione di Trump è essenziale essere nel perimetro della cittadinanza, allora «non conta se siamo bianchi, neri o marroni, perché tutti ci nutriamo con il sangue rosso del patriottismo». Finisce così, ma la giornata è lunga: pranzi, balli. Anche scontri tra manifestanti e polizia nelle strade di Washington e proteste lungo la parata. Lacrimogeni e 95 arresti. Siamo nell’era di Trump.