Corriere della Sera

LE LACRIME E L’ORGOGLIO

La svolta alle 11 di mattina, dopo oltre 40 ore di prigionia A fine giornata, il bilancio è di dieci sopravviss­uti Così la tragedia dell’hotel diventa anche un’altra storia Tutto il Paese è a Rigopiano, come 36 anni fa a Vermicino I soccorrito­ri e la gent

- Di Goffredo Buccini

Poi dalla tomba di ghiaccio sbuca una testolina castana: e la storia cambia, cambiando tutti noi. Alle undici di mattina il primo sopravviss­uto alla valanga dell’hotel Rigopiano è un bambino di 8 anni. I pompieri gli battono le mani, lo sfiorano, lo stringono, ridono e piangono e, stendendol­o in barella sotto coperte finalmente calde, gli gridano «bravo, chicco, bravo!»; e un po’ sembrano dirlo a loro stessi, bravi, sì, dopo queste interminab­ili ore di calvario in cui tutto pareva devastare l’onore dell’Italia e quello di ciascuno. Bravo, chicco.

Tanti che non torneranno sono da piangere e da ricordare, e non sarà mai possibile festeggiar­e davvero: perché questa è e resta una tragedia immane. Ma, da ieri, è anche un’altra storia. Perché ogni viso stravolto e grato che viene strappato alla montagna è una rivincita dell’altra Italia. Non il Paese furbastro e sciatto, non il Malpaese che con grottesca pigrizia prende sottogamba l’allarme per il disastro lanciato quasi in diretta da un superstite (per l’ennesimo capriccio del destino proprio il papà di «chicco»). No, questa è l’Italia che scava e sa soffrire. Quella che non smette di sperare, dando in fondo qualche ragione pure al tanto criticato capo della Protezione civile Fabrizio Curcio che mai aveva buttato la spugna.

Dopo il bambino, esce dal cunicolo aperto nel ghiaccio la mamma, Adriana che, voltandosi, implora i pompieri di pensare anche all’altra figlia più piccola, «è nella stanza accanto...», o almeno in ciò che resta d’una stanza d’albergo tra lastroni, detriti e tronchi.

Più di quaranta ore di prigionia nel buio dolente della valanga, con il terrore per compas’è gno. Alla fine della giornata, tra chi è salvo e chi, individuat­o sotto il ghiaccio, sta per esserlo, si arriverà a una lista di dieci nomi (tra loro quattro bambini), numero variabile perché le fonti ballano un po’ e perché occorre cautela, ogni nome di chi ce l’ha fatta avvicina l’angoscia dell’altra lista, quella dei sommersi, nel cuore e nella mente di tante famiglie in esasperant­e attesa e già sul piede della rivolta.

E tuttavia la cronaca di ieri e dell’altro ieri va scritta anche in modo diverso. Con visi diversi, che sin dall’inizio c’erano ma forse non vedevamo, accecati dal dolore e dalla rabbia. Al centro operativo di Penne, tra le squadre d’intervento, rientra uno dei quattro che la prima notte sono riusciti a raggiunger­e Rigopiano: fatto settecento metri di risalita con le pelli di foca sotto gli sci e ridacchia, «guardi che per noi è normale». Ha 38 anni, è un volontario nel Corpo nazionale di soccorso alpino e speleologi­co. E non vuol dire il nome: «Nel gruppo siamo quindici, se glielo dico faccio un’ingiustizi­a agli altri quattordic­i». Negli occhi ha questi mesi che hanno stravolto l’Italia centrale: «Ero ad Amatrice, è stato terribile. Ma quello che ho visto quassù non ha paragoni. È un terremoto coperto da tre metri di neve ghiacciata».

Loro non hanno mai smesso di lavorarci, contro questo ircocervo mostruoso. E il risultato di ieri è frutto dell’intera notte passata a scandaglia­re la montagna che ha inghiottit­o l’albergo, con i cani, resistendo al freddo e allo sconforto, a rischio della vita perché la slavina del disastro «non è stabilizza­ta», dicono. Il primo messaggio di vittoria tra l’elicottero dei pompieri e la base fa venire un brivido: «Ne abbiamo trovati sei e servono coperte: sono vivi».

Vivi. Questa straordina­ria e magica parola rimbalza in fretta nella valle di Farindola, nelle frazioni di Penne, da dove venivano quasi tutti coloro che lavoravano nell’hotel. Fa il giro d’Italia e l’Italia diventa Rigopiano, come trentasei anni fa diventò Vermicino. E molto di più, perché quella prima diretta è moltiplica­ta per

Il primo messaggio di vittoria tra l’elicottero dei Vigili del fuoco e la base fa venire un brivido: «Ne abbiamo trovati sei e ci servono delle coperte: sono vivi»

mille e mille volte sui social network e qui ci sono le tv di mezzo mondo.

Al bivio, pochi chilometri sotto l’albergo caduto, c’è l’ultima base dei soccorsi: passano, si coordinano, ripartono. Stavolta ci sono le ambulanze, sì, tante, che iniziano ad affluire arrancando. L’assistente Maria ha la faccia da mamma buona e viene da Bari («dal Cep, il massimo del malfamato, lì o esci delinquent­e o esci come me, poliziotto»): non sta più nella pelle. Si agita, si sbraccia: «C’è gente viva là sopra, le ambulanze passano prima!». Il suo collega anziano, 28 anni di servizio, ha i lucciconi: «E sì, io mi commuovo, non me ne vergogno». Manovrando frenetici per superare i blocchi di neve, i pompieri si fanno gli auguri: «In bocca al lupo e speriamo che stavolta crepi». Vivi, sono vivi.

Il bar tabacchi di Villa Cupoli, ai piedi del canalone, è il vero punto di raccolta dei paesani, degli amici, di chi sta col fiato sospeso. Tutti conoscono tutti, e Danilo, aria mite e occhiali spessi, dice che ormai si va solo a casa per mangiare un boccone e si torna qui di corsa a guardare la television­e stretti gli uni agli altri: «Sono tutti amici miei, lassù, siamo cresciuti insieme, non ci dormo!». Il bar è pieno e parte un boato quando appare il primo flash: sei vivi. Ogni vivo che s’aggiunge, ogni barella che passa sullo schermo, la scena si ripete: «Linda, quella è Linda!». «Quello è il pizzaiolo di Penne!». Martina lavorava nell’albergo, è salva per caso, è stata intervista­ta al mattino e, alle due di pomeriggio, guarda se stessa che parla dei suoi compagni alla tv.

È anche un immenso specchio questa storia, dalla prima diretta Facebook di un quotidiano locale ai salvataggi postati da pompieri e finanza sui siti. Così lo guardiamo e riguardiam­o ipnotizzat­i il primo faccino di bimbo che spunta dall’antro della morte. Noi, più vecchi, sappiamo perché: è una catarsi, il finale di una diretta infinita, il riscatto che ci rubarono assieme alla vita di Alfredino Rampi.

Il primo faccino di bimbo che spunta dall’antro della morte è una catarsi, il finale di una diretta infinita, il riscatto che ci rubarono assieme alla vita di Alfredino Rampi

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In azione I soccorrito­ri a Rigopiano
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(foto Afp / Vigili del Fuoco) Dall’alto Una veduta aerea della zona dei soccorsi intorno all’hotel Rigopiano sepolto da un ammasso di neve, terriccio e alberi. La squadra dei soccorrito­ri al lavoro nel resort comprende uomini e mezzi specializz­ati della Protezione Civile, dei...
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(Ansa) La bimba Estratta dall’hotel

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