Corriere della Sera

SCOMPARIRE POI RINASCERE

- di Marco Imarisio

La speranza è una dottoressa che chiede aiuto ai malati in attesa. «Per cortesia, potete spostarvi? Abbiamo appena ricevuto una buona notizia dall’hotel, quindi le vostre visite potrebbero subire dei ritardi». Non c’è bisogno di altre parole. Alle 11.40 il poliambula­torio del Pronto soccorso si svuota. Il signore con la mano fasciata, la pensionata con la gamba rotta, tutti gli altri. Capiscono subito. E si allontanan­o sorridendo. «I nostri mali possono aspettare».

dal nostro inviato SEGUE DALLA PRIMA

Appena mettono piede nel corridoio del pianterren­o vedono anche loro la psicologa che corre inseguita da due infermieri dall’espression­e beata verso il reparto di Rianimazio­ne, dove Giampiero Parete ha appena chiesto di tornare a casa. «Li hanno trovati, li hanno trovati».

L’esultanza del coro di voci non lascia dubbi. È accaduto qualcosa di meraviglio­so, quando sembrava che ormai ci fosse solo desolazion­e e tristezza. Un miracolo, come continua a ripetere l’infermiera che per tutta la notte ha vegliato su un uomo che era ancora vivo ma voleva morire, circondato da genitori e fratelli che più passava il tempo e meno riuscivano a crederci. Ancora alle dieci del mattino aveva chiesto se c’erano novità, su Adriana e sui bambini, che erano rimasti prigionier­i di quella valanga dalla quale non saliva una voce. Il primario aveva scosso la testa. «Allora torno a casa, non ha senso che resto qui. Voglio rimanere da solo», aveva detto il cuoco che sembrava l’unico sopravviss­uto della sua famiglia, il superstite che aveva lanciato un allarme inutile. Lo avevano guardato, incerti se lasciarlo andare.

«Dobbiamo dirle una bella cosa. Sono tutti vivi, e stanno arrivando». La psicologa gli ha detto tutto e subito. Adriana e il suo primogenit­o di otto anni erano già sulla strada dell’ospedale, ma pure la piccola stava bene, questione di poche ore e sarebbe tornata anche lei. Giampiero Parete ha abbracciat­o l’anziano padre Gino, che aveva trascorso la notte con lui. «Allora resto qui», ha detto.

Non ha ripreso animo solo lui, ma un intero ospedale, e anche di più. Il Santo Spirito di Pescara è diventato il centro di tutto, non solo dei lutti e del dolore, che purtroppo ci sono e non possono essere nascosti dal sollievo di questa giornata. Oltre quaranta ore dopo, non c’è soltanto morte ma anche vita. Le sonde termiche hanno scovato un rifugio nei pressi dalla sala biliardo dell’hotel Rigopiano. Il crollo ha creato una specie di calotta divisa in quattro ambienti, quattro camere d’aria ognuna delle quali ha in qualche modo protetto chi c’era dentro. Adriana e il maschietto erano insieme e sono stati i primi a uscire. La moglie di Giampiero, infermiera in una clinica privata, non ha mai smesso di chiamare la figlia, che era a pochi metri di distanza, separata da un travertino. Sentiva la sua voce, ma non poteva vederla. «Sono rimasta tranquilla» ha raccontato alla cognata Benedetta. «Perché una volta che abbiamo capito di essere vivi ero certa che il peggio era passato, e sarebbero venuti a prenderci. Ma il tempo non passava e all’alba sono stata male, avevo smesso di crederci».

I referti con la diagnosi di ipotermia prolungata non dicono la verità. Stanno tutti bene, come gli altri tre bambini che saranno estratti nel tardo pomeriggio, dopo una attesa sfinente, dovuta alla nebbia, al maltempo, alla necessità di fare attenzione nel forare il muro. Quando i soccorrito­ri hanno fatto un buco in quello che era diventato il tetto della loro cella, i tre bambini chiusi in un unico spazio li hanno accolti ballando e saltando. C’era la figlia del cuoco, la gioia mancante dei Parete, che ha subito chiesto cosa ne era dei biscotti al cioccolato che aveva lasciato nello zaino per il viaggio di ritorno. E poi c’erano il terzogenit­o dei coniugi Nadia e Sebastiano Di Carlo, ristorator­i di Loreto Aprutina, e il figlio di Domenico e Marina, la coppia di Osimo che risulta ancora dispersa. Appena tornato in superficie uno di loro ha realizzato l’attenzione che lo circondava. «Guarda quanta neve» ha detto a uno dei soccorrito­ri. «Allora possiamo andare a sciare».

Lo potremmo chiamare il miracolo dei bambini, se non fosse per il bilancio ancora incerto, nessuno sa davvero quante sono e chi sono le persone ancora sommerse da neve e macerie. Ma almeno questa lunga giornata va in archivio con quattro creature di età compresa tra i sei e i dieci anni tornate a vedere la luce quando nessuno si aspettava più nulla. Ci sarà tempo per capire cosa è successo in quelle lunghe ore di buio, come le hanno trascor-

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