Trovati con la microcamera
Su uno schermo arrivano le immagini girate dove gli occhi degli uomini non riescono ad arrivare: ci sono i piccoli intrappolati che saltano e salutano In azione un congegno militare per captare i segnali di telefoni e apparecchi elettronici sotto terra
Li vedi arrivare sfiniti, infilati nelle loro divise sporche, con gli scarponi ancora coperti di neve. Vigili del fuoco e ragazzi del soccorso alpino e speleologico soprattutto. Ma anche operatori della Croce Rossa, uomini dell’esercito, della Guardia di finanza, della Protezione civile, dei carabinieri...
Sono tantissimi i soccorritori che si danno il cambio sul fronte della valanga, su, all’hotel Rigopiano. E quando finiscono turni massacranti passano da qui, dal palazzetto dello sport di Penne che si trova una ventina di chilometri più a valle e che è diventato quartier generale dei soccorsi. Fino a ieri mattina arrivavano soltanto facce sconsolate ma, all’improvviso, la notizia che c’era ancora vita sotto le macerie e la neve ghiacciata, ha restituito sorrisi, abbracci, ha dato più forza alle mani che scavano, ha annullato di colpo ogni fatica.
«Sapere che sotto c’erano bambini ci ha galvanizzato. C’era una grandissima frenesia» racconta Walter Milan, ragazzo instancabile del soccorso alpino civile catapultato in questo mondo di neve dal suo Veneto. Walter spiega che davanti alla montagna bianca che una volta era il resort bisogna stare in silenzio, di tanto in tanto, per capire se da sotto arrivano segnali. E allora qualcuno suona una tromba da stadio: un solo suono significa «tutti zitti», due suoni vuol dire che si può riprendere a scavare, spostare, tagliare.
Il suo amico e collega, Luca Giai Arcota, piemontese cinquantenne, dice che i cani segnalano presenze umane ma poi vai a capire se le molecole che fiutano sono davvero quelle di una persona oppure quelle rimaste sul materasso che la valanga ha spostato magari a 3-400 metri di distanza. E poi c’è il medico, altro collega di Walter e Luca. Si chiama Gianluca Faccetti ed era lì, ieri, a guardare le immagini dei bambini intrappolati salvati nel pomeriggio: «Che bellezza vederli vivi su quello schermo», dice soddisfatto mentre pensa «agli altri 23 ospiti dell’hotel che mancano all’appello».
Le immagini, dicevamo. Arrivano grazie alla snake-eye, letteralmente occhio di serpente: un’attrezzatura dei Vigili del fuoco che consiste in una microcamera mobile montata su un piccolo tubo e infilata fra le macerie perché possa
vedere dove l’occhio umano non arriva. La telecamera trasmette le immagini su uno schermo ed eccoli, i bimbi di ieri. Saltano, salutano. Ed è un video meraviglioso, a quasi 48 ore dalla valanga e dopo che il geofono, uno strumento per captare onde sonore capace di sentire anche una goccia d’acqua che cade, aveva colto piccoli, piccolissimi rumori provenire da sotto cumuli enormi di neve e cemento.
Nel Palazzetto sportivo di Penne ieri sera a mezzanotte non erano ancora scesi i Vigili del fuoco che avevano cominciato il turno all’alba. Marco, Carmelo, Stefano, saranno entrati e usciti cento volte nei buchi (in tutto 15-16) scavati nella neve e nelle macerie per cercare superstiti. Dentro e fuori per tutto il giorno e man mano che avanzavano, in quel piccolo tunnel largo quanto due uomini, diventava sempre più prezioso il patrimonio di informazioni delle squadre al lavoro: il percorso per avanzare nelle macerie, i punti deboli della struttura, quelli più a rischio. Non c’è stato bisogno, come sempre, che qualcuno gli chiedesse di continuare. L’hanno fatto e basta, fino a notte fonda mettendo da parte la stanchezza.
Cogliere segnali di vite sepolte e farlo il più in fretta possibile. Per avere una chance in più la Guardia di finanza ha messo in campo uno strumento segreto. Il capitano Luigi Di Palo e l’ispettore che è venuto a portarlo non vogliono rivelarne il nome, «perché è un congegno militare». Rileva le onde elettromagnetiche a media gittata, che vuol dire intercettare il segnale di un telefonino, di un computer o di qualsiasi altro aggeggio elettronico, appunto, nel raggio di 15-20 metri, anche sotto le macerie.
Ma attorno a questa storia tragica fatta di neve, sopravvissuti e morti non c’è soltanto chi sta in prima fila sulla scena del disastro. C’è un numero gigantesco di uomini e donne che si muovono per assistere i parenti delle vittime o chi sta lavorando sulla valanga, ci sono persone che passano la giornata al gelo per smistare il traffico ed evitare di intasare le strade già ridotte a metà dai cumuli di neve, c’è chi si occupa di sfamare e dare un letto ai soccorritori, chi di sgombrare le strade dalla neve per fare spazio ai mezzi di soccorso. Per esempio i soldati dell’undicesimo Reggimento genio guastatori della Brigata Pinerolo. Vengono tutti da Foggia, sono giovani e si muovono su mezzi preceduti da un apripista da 37 tonnellate, un cingolato monumentale che ha aperto il varco, fra muri di neve, da Penne a Farindola, il Comune dell’hotel Rigopiano.
Il tenente Simone Cordiano, uno di quei militari, dice che scandisce la sua vita privata con le emergenze, che in tre anni di matrimonio ha passato con sua moglie soltanto tre mesi. È lei che tiene il conto dei giorni: segna sul calendario quelli che lui trascorre a casa. Pochissimi.
Per chi vive tirando gli altri fuori dai guai è la regola.