Corriere della Sera

La rivolta dei parenti: «Vergogna, dateci notizie»

- M. Ima.

Sotto la coperta Uno dei bambini estratti dal Rigopiano In volo Un elicottero della Guardia costiera impegnato nei soccorsi

un’altra notte nelle rovine dell’hotel, ma si possono ormai definire salve. Il prefetto legge i loro nomi nell’atrio, premettend­o che hanno tutti dato «riscontro vocale». Giampaolo Matrone, un turista romano. Francesca Bronzi e il fidanzato Stefano Feniello, appena arrivati per festeggiar­e il compleanno di quest’ultimo. Giorgia Galassi e Vincenzo Forti, universita­ri di Giulianova.

Il figlio del poliziotto e della impiegata di Osimo ha raccontato ai barellieri di avere sentito le voci dei genitori. Nel pomeriggio l’attesa per il suo arrivo e quello degli altri due bambini sembra non finire. L’elicottero che non può volare al buio, la strada accidentat­a. Sono dettagli. Ce l’hanno fatta, conta solo questo. L’infermiera che porta un enorme vassoio con patatine e altri dolci presi al bar aziendale ha un sorriso che le va da un orecchio all’altro. Certe volte sembra che la vita non abbia senso. Ma vale la pena di sperare, sempre. DAL NOSTRO INVIATO

«Vergogna». L’urlo risuona nella sala. Per un istante tutto si ferma. L’assessore alla Sanità, i dottori che leggono il bollettino delle 18.30, persino l’ottimismo che fino a quel momento sembrava contagioso. «Perché non ce le date a noi le notizie? Perché a noi non dite niente?». Solo cinque persone, ma c0ntano, e tanto. Sono saliti al terzo piano per fare sentire la loro protesta, una rivolta che poi esprime tutta l’angoscia del mondo. Sono stati chiusi tutto il giorno nella biblioteca accanto alla direzione generale, aspettando notizie che non potevano ricevere dalle autorità ospedalier­e. «Noi non possiamo dire cose che non conosciamo, siamo medici, non sappiamo cosa succede là sopra» dirà dopo Rossano Di Luzio, direttore del presidio del Santo Spirito, e nelle sue parole si intravede il disappunto per una gestione delle informazio­ni lasciata per tutto il giorno in mano ai camici bianchi. «Noi facciamo ospedale, non comunicazi­one. Parliamo delle persone ricoverate, e solo di quelle, il resto purtroppo non è di nostra competenza». Hanno tutti ragione, certo. Ma ieri quelle facce stravolte dall’ansia erano l’altra faccia della medaglia di questa giornata. «Abbiamo i nostri familiari sepolti da 8 metri di neve e ci lasciano senza comunicazi­oni». Era una richiesta di attenzione. A formularla è stato un piccolo gruppo guidato da Mario Tinari, un signore minuto che una volta sbollita la rabbia si mostra gentile, preoccupat­o di spiegare le proprie ragioni. È il papà di Jessica, la sua unica figlia, estetista di Vasto, militante del Pd, appassiona­ta di neve e montagne. Era arrivata lunedì all’hotel Rigopiano con il fidanzato Marco Tanda, un ufficiale di Ryanair, residente a Roma. «Per me è un altro figlio» dice, e poi singhiozza mentre aspetta l’ascensore che lo riporta alla biblioteca dove passerà la notte, lui insieme agli altri familiari. Erano state offerte sistemazio­ni in hotel della città, nessuno ha voluto muoversi. Non vogliono allontanar­si dall’ospedale, come se farlo significas­se una resa. «Invece noi non ci vogliamo arrendere, e vogliamo sapere, ne abbiamo diritto». Il bersaglio della protesta forse era sbagliato. Ma è difficile farlo capire al signor Mario e agli altri come lui, mentre le tv festeggian­o per altre vite ritrovate, e loro restano sospesi in questo limbo crudele.

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