Ecco gli antenati che stiamo perdendo
quelli giganti del Madagascar (oltre 150 chilogrammi), non esistono più. Da 25 anni non è più stato avvistato il colobo rosso di Miss Waldron in Africa occidentale, mentre una sottospecie di gibboni è giudicata estinta in Cina. Ma l’uomo può vivere senza le scimmie? «No, perché perderemmo un patrimonio inestimabile» risponde Francesco Rovero che con Claudia Barelli del Muse, da oltre una decina d’anni è impegnato in Tanzania nella ricerca americana, occupandosi del degrado ambientale alla base dell’emergenza. «I primati sono il gruppo più rappresentativo delle foreste pluviali e costituiscono, quindi, parte importante del bioma della Terra e un capitale evolutivo preziosissimo, da preservare con cura. Confrontando la nostra biologia con quella degli altri primati, abbiamo la possibilità di comprendere l’evoluzione del nostro cervello, della nostra visione ma anche la nostra vulnerabilità alle malattie. L’agricoltura intensiva e l’incremento della popolazione hanno aggravato la situazione del loro habitat. La soluzione è creare aree protette, incentivare la riforestazione, combattere i traffici illegali». «La loro esistenza è fondamentale — aggiunge Elsa Addessi, studiosa del comportamento e del linguaggio all’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr —. Non soltanto per la stretta parentela con gli scimpanzé, con i quali condividiamo il 99 per cento del Dna, ma anche perché indagando il diverso adattamento delle varie specie all’ambiente, individuiamo modelli efficaci per studiare la cognizione umana».