PERCHÉ CAMBIARE I CRITERI PER LA SELEZIONE DEI PRESIDI
In un articolo Susanna Tamaro (Corriere, 9 gennaio) si sofferma sul fallimento della scuola come strumento di istruzione di massa (come lei scrive «una grande Caporetto»). Il prezzo pagato al passaggio epocale che c’è stato dalla scuola di pochi alla scuola di tutti, è stato pesante: caduta verticale della qualità media della professionalità degli insegnanti e della preparazione media degli studenti. Ma per TreeLLLe questo dipende soprattutto dal non aver voluto rinunciare al modello organizzativo e pedagogico della scuola del passato (enciclopedismo, troppe ore di lezione, metodi didattici trasmissivi e non interattivi, ecc.) e nell’aver voluto al tempo stesso imporlo ad una platea di utenti così diversi e variegati per origini socio-economiche, bisogni e motivazioni.
Per TreeLLLe non c’è dubbio che la politica e soprattutto i sindacati che sono da sempre gli unici veri interlocutori del Ministero (lo scrive anche la Tamaro), hanno privilegiato l’attenzione all’aumento dei posti di lavoro trascurando una seria formazione e selezione del corpo insegnante, la valutazione dell’efficacia delle scuole e degli insegnanti.
TreeLLLe è pure pienamente d’accordo con l’appello accorato della Tamaro per una scuola che torni ad essere luogo non solo di istruzione, ma anche di educazione a vivere con gli altri.
Ma qui nascono le nostre divergenze sui rimedi. Infatti non è questione, come scrive, «di restituire dignità e autorità agli insegnanti» e questo perché
l’autorità e la dignità non si restituiscono ai singoli che, se mai, se le devono conquistare sul campo. Per TreeLLLe è invece prioritario che l’autorità si debba principalmente restituire alla «istituzione scuola» perché solo il prestigio restituito ad un’istituzione protegge e rafforza coloro che la rappresentano.
Ma soprattutto è un errore pensare di farlo, come suggerisce la Tamaro, «aumentando la miserevole retribuzione di tutti» gli oltre 800.000 insegnanti. L’autorità e la dignità dell’istituzione si rafforzano quando è evidente che essa
per prima è in grado di distinguere fra chi fa bene e chi fa meno bene, cioè di valutare i suoi addetti. E come si può poi volere che i suoi utenti accettino l’autorità di chi dovrebbe valutarli ed educarli, quando vedono che non si tiene in considerazione la diversa reputazione professionale di ognuno, pur così nota in ogni ambiente scolastico?
La recente legge 107 ha opportunamente destinato una cifra di 200 milioni per riconoscere un bonus ai meritevoli, che può diventare economicamente sostanziale solo se circoscritto in ogni scuola ad una percentuale di non più del 20% del corpo insegnante (nel primo anno di esperienza ne sono stati invece premiati mediamente addirittura il 40%!).
Ma la ragione di sistema è ancora un’altra. È essenziale che si crei in ogni scuola una forte struttura organizzativa che la tenga insieme e che motivi e faccia crescere tutti i suoi operatori. Due sono le condizioni: la prima è che si dia luogo a una «leadership distribuita», cioè a un preside che, lungi da assomigliare a uno «sceriffo», costituisca una piccola squadra di docenti scelti tra i premiati; la seconda è la selezione di presidi idonei, una scelta strategica da non sbagliare. Per questo sarà necessario limitare l’accesso ai futuri concorsi per presidi a chi ha già svolto incarichi di collaboratore del preside e quindi dopo aver verificato sul campo le sue reali attitudini alla leadership. Individuare il 20% degli insegnanti migliori e scegliere presidi di verificate attitudini sono condizioni essenziali per ridare prestigio e autorità alla scuola.
Reali attitudini Limitare l’accesso ai concorsi a chi ha già svolto in passato incarichi di assistenza