Corriere della Sera

L’ITALIA IGNORATA A DAVOS, UN SILENZIO CHE FA RIFLETTERE

- Di Federico Fubini

C’erano stati anni nei quali dell’Italia si era parlato in stanze periferich­e e sovraffoll­ate, con una pretesa di costernazi­one, come si parla di una vecchia cugina che vive alla giornata e non vuole saperne di trovarsi un lavoro. Uno doveva camminare sul ghiaccio delle strade di Davos prima dell’alba per sentire esperti veri e presunti dichiarare — sorpresa — che siamo fuori strada. Il tono, quasi sempre, quello dei maestri che hanno perso speranza di recuperare uno scolaro talentuoso, pigro e infido. Poi a Davos anche quelle strane riunioni, mai dentro ma ai margini del World Economic Forum, sono finite. Qualcuno dev’essersi risentito di essere visto come un caso a parte. Negli ultimi anni in realtà sono stati anche passaggi in cui l’Italia ha goduto del suo quarto d’ora di passabile reputazion­e, improvvisa­mente un Paese spendibile nelle conversazi­oni di Davos. È stato così con il governo di Mario Monti, lo è stato anche con Matteo Renzi nel suo primo anno. All’inizio del 2016 poi il vento era di nuovo cambiato. Di Italia si era parlato molto, ma solo per mostrarsi allarmati sulle sue banche. Pier Carlo Padoan, il ministro dell’Economia, aveva persino raccolto applausi polemizzan­do con la Banca centrale europea dal palco di una delle sale principali del centro congressi. Ma era stato un po’ come quando si simpatizza per l’underdog, la squadra più debole, quando in realtà si è indifferen­ti. Quest’anno invece a Davos, sull’Italia ha prevalso il silenzio. Non se n’è proprio parlato. C’era di nuovo Padoan, c’era Mario Monti e un gruppo (non nutrito) di donne e uomini d’impresa. Ma era come se non ci fosse il Paese. Non nelle discussion­i. In parte, per le ragioni giuste: la minaccia di una crisi bancaria italiana si è allontanat­a, da quando il governo ha messo 20 miliardi sul tavolo per i salvataggi. In parte però è per ragioni meno auspicabil­i. Mentre la comunità internazio­nale si chiede cosa accadrà con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca o con la Brexit, sparisce lo spazio mentale di occuparsi di ciò che — a torto o a ragione — si percepisce come molto meno rilevante.

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