La doppia ispirazione di Paula
ià l’ingresso è il proclama del buon design milanese: tonalità smorzate, pezzi anni ‘50, il parquet d’epoca che rimanda a una casa borghese. Eppure, guardandosi attorno, c’è qualcosa che sfugge all’atmosfera sobria dettata da quel palazzo un po’ austero del centro cittadino: qualche accenno di colore più vivo ma soprattutto gli oggetti, tanti, disposti sui mobili, si direbbe, secondo un filo logico personale.
Vasi, porcellane, vassoi, firmati e anonimi, e molto altro. «Per piacermi devono avere un significato in cui mi ritrovo», esordisce Paula Cademartori, giunta a Milano da Porto Alegre dieci anni fa per specializzarsi in fashion design (oggi le borse create da lei sono pezzi cult) e qui rimasta. «Mi seguono da una casa all’altra — in dieci anni ne ho cambiate tre — e alcuni arrivano persino dal Brasile. Come il pappagallo in ceramica, Propiziatorie Qui sopra, due teste di Caltagirone, messe come simbolo beneaugurante in assoluto il mio primo acquisto. Altri invece li ho voluti solo perché mi suscitavano un’emozione. E non smetto mai di aggiungerne», dice, guardandosi attorno nel soggiorno.
Pareti azzurro polvere, una madia laccata di blu, pezzi di Castiglioni, Ico Parisi, Gio Ponti, ma l’atmosfera è lontana dalla sobrietà un po’ distaccata di certe case di design: «Mi piace il colore. Ho bisogno di contrasti, di tinte che si riflettono una nell’altra. Nella casa precedente c’era molto giallo, qui il filo conduttore è il blu. Ma fondamentale che siano tonalità profonde, capaci di comunicare calore». Stesso concetto per la parete principale, su cui spicca un «arazzo» di Emiliano Salci e Britt Moran di Dimorestudio. «Siamo diventati amici fino dai primi tempi in cui abitavo a Milano: abbiamo lo stesso gusto e il piacere per il vintage italiano — spiega —. Questo tappeto, per me, è perfetto perché è asimmetrico, cattura l’attenzione ed è molto materico: la parete così prende vita e diventa accogliente».
Poltrone anni ‘50 dall’austerità mitigata dal giallo ocra, il divano di Cassina («Ma rifoderato di velluto blu e vivacizzato con una coperta di Hermés sul tema giungla, per ricordarmi la foresta amazzonica di casa…»), le poltroncine americane vintage in cuoio, ma il cuore sono gli oggetti. Memorie familiari, ispirazioni, ricordi dei suoi viaggi, raggruppati tra la madia e un tavolino tondo così affollato da sembrare un altare: «Le candele nella scatola di porcellana di Fornasetti (lo adoro, è geniale), il santino appartenuto alla mia bisnonna, un fregio di un altare trovato in Portogallo e fatto montare poi su un piedistallo, vasi e uova di Gio Ponti, la bottiglia del brindisi per il mio primo compleanno in Italia», elenca Paula, specificando di ciascuno l’unicità. Su tutti, spicca un foglietto ingiallito incorniciato tra due vetri: «La pagina di un calendario religioso brasiliano: è la mia data di nascita, con una ricetta tipica sul retro. Regalo del mio bisnonno, è una nostra usanza beneaugurale».
Tradizioni e superstizioni: «Ne ho tantissime. I profumi, che siano gli incensi o le candele, perché in Brasile si dice che una casa profumata è una casa felice. Le serie numerate, ma solo di cifre con l’8 o il 9, i miei numeri fortunati». Rientrano in questo schema persino due teste, tutte italiane, in ceramica di Caltagirone: «Pezzi unici trovati in Sicilia, ma li ho scelti per la loro simbologia: un arabo con un trionfo di frutta, che indica prosperità, e la donna floreale emblema della primavera. Come dire: vorrei che la mia casa emanasse belle sensazioni e senso di abbondanza».
Dopo appartamenti piccoli e provvisori, finalmente uno «da grande»: «Sto centellinando l’arredo, deve essere il mio nido. Anche se non vedevo l’ora di avere più spazio per accogliere gli amici e i miei genitori dal Brasile», dice alla porta, congedandosi. «Lo faccio sempre per chiunque venga a trovarmi: da noi è di buon augurio, per dire che ritornerà».