Liceali, lavorare a scuola Come sta funzionando?
Laboratori di analisi, musei, banche, studi legali Le «ore del fare» sono diventate obbligatorie e gli istituti si organizzano Gli esempi da seguire
re 8. Marco, 16 anni, zaino in spalla, entra all’Istituto superiore di sanità: oggi in laboratorio studierà la risposta immunitaria ai batteri respiratori. Paola si prepara per il turno alla mensa Caritas di Ostia. Ettore accompagnerà un gruppo di turisti stranieri a scoprire i Mantegna e i Tiepolo al Museo Poldi Pezzoli di Milano. Martina immagina la start up che dovrà realizzare con i tutor di Banca Intesa, nelle due settimane di affiancamento.
Siamo nell’ambito della Buona Scuola e di una delle sue novità più dirompenti: l’alternanza scuola-lavoro, diventata obbligatoria per i licei, dallo scorso anno nelle classi terze, quest’anno anche nelle quarte. È la «nuova materia» che chiede ai ragazzi di apprendere facendo. Viene già certificata e concorre al voto di profitto nelle discipline coinvolte e in quello di condotta. Dal 2018, farà irruzione nell’esame di maturità, diventando oggetto di colloquio e di valutazione.
Intanto Marco, Paola, Ettore e Martina — studenti dell’Orazio di Roma (classico e linguistico), del Democrito (scientifico), del Beccaria di Milano (classico) — e con loro un altro mezzo milione di sedicenni si apprestano a trascorrere 200 ore di scuola (per istituti tecnici e professionali le ore sono 400, ma le esperienze di lavoro facevano già parte dell’attività didattica) fuori dalle aule: in laboratori di analisi, siti archeologici, uffici legali, banche, musei.
L’anno scorso sono stati 227.300 i liceali che hanno trovato una collocazione. Non senza fatica: prof e dirigenti scolastici hanno fatto centinaia di telefonate per mettere insieme un numero adeguato di strutture disposte a ospitare i ragazzi. Talvolta anche con l’opposizione dei collegi docenti, perché «in questo modo vengono sottratte ore al greco e al latino». Qualcuno ha rinunciato a far uscire gli studenti, preferendo un lavoro «recitato», la simulazione in aula. E qualche volta le «ore in fabbrica» sono state svolte in estate, per non sacrificare i programmi scolastici.
Ma chi, come Michele Monopoli, preside del Beccaria di Milano, ha trovato senza sforzo gli interlocutori, si dice entusiasta della novità: «Per noi ha un valore orientativo e formativo molto importante». Ai suoi studenti Monopoli ha proposto quest’anno diciassette percorsi, che spaziano dalla finanza alle case di cura, dalla realizzazione di cortometraggi al design. Tutti coordinati da un referente e accompagnati da un tutor. Anche all’Orazio di Roma sono stati avviati più di 20 percorsi, che vedono coinvolti polo museale del Lazio, Wwf, Amnesty international, Istituto superiore di sanità: «Vogliamo che siano i ragazzi a scegliere — dice Stefano Arena, docente referente del progetto —. E con 430 studenti da sistemare servono molte porte aperte».
Ma quando il prossimo anno, con la riforma a regime, saranno un milione e mezzo di ragazzi a dover fare un’esperienza di lavoro, non basterà più il fai da te delle scuole.
Il ministero dell’Istruzione, consapevole che l’avvio è stato complicato, ha siglato in corsa accordi con multinazionali — da Eni a Zara a Mc Donald — disposte ad offrire percorsi formativi agli studenti. Scelte che in qualche caso hanno visto ragazzi e sindacati sulle barricate, preoccupati che l’alternanza si trasformi in un serbatoio di lavoro gratuito. Ma l’obiettivo, sostiene il Miur, è avvicinare i ragazzi alla concretezza di un mestiere. Nel secondo anno, il progetto è partito con una dote di 100 milioni di euro e incentivi per le aziende coinvolte.