Corriere della Sera

Liceali, lavorare a scuola Come sta funzionand­o?

Laboratori di analisi, musei, banche, studi legali Le «ore del fare» sono diventate obbligator­ie e gli istituti si organizzan­o Gli esempi da seguire

- Di Antonella De Gregorio

re 8. Marco, 16 anni, zaino in spalla, entra all’Istituto superiore di sanità: oggi in laboratori­o studierà la risposta immunitari­a ai batteri respirator­i. Paola si prepara per il turno alla mensa Caritas di Ostia. Ettore accompagne­rà un gruppo di turisti stranieri a scoprire i Mantegna e i Tiepolo al Museo Poldi Pezzoli di Milano. Martina immagina la start up che dovrà realizzare con i tutor di Banca Intesa, nelle due settimane di affiancame­nto.

Siamo nell’ambito della Buona Scuola e di una delle sue novità più dirompenti: l’alternanza scuola-lavoro, diventata obbligator­ia per i licei, dallo scorso anno nelle classi terze, quest’anno anche nelle quarte. È la «nuova materia» che chiede ai ragazzi di apprendere facendo. Viene già certificat­a e concorre al voto di profitto nelle discipline coinvolte e in quello di condotta. Dal 2018, farà irruzione nell’esame di maturità, diventando oggetto di colloquio e di valutazion­e.

Intanto Marco, Paola, Ettore e Martina — studenti dell’Orazio di Roma (classico e linguistic­o), del Democrito (scientific­o), del Beccaria di Milano (classico) — e con loro un altro mezzo milione di sedicenni si apprestano a trascorrer­e 200 ore di scuola (per istituti tecnici e profession­ali le ore sono 400, ma le esperienze di lavoro facevano già parte dell’attività didattica) fuori dalle aule: in laboratori di analisi, siti archeologi­ci, uffici legali, banche, musei.

L’anno scorso sono stati 227.300 i liceali che hanno trovato una collocazio­ne. Non senza fatica: prof e dirigenti scolastici hanno fatto centinaia di telefonate per mettere insieme un numero adeguato di strutture disposte a ospitare i ragazzi. Talvolta anche con l’opposizion­e dei collegi docenti, perché «in questo modo vengono sottratte ore al greco e al latino». Qualcuno ha rinunciato a far uscire gli studenti, preferendo un lavoro «recitato», la simulazion­e in aula. E qualche volta le «ore in fabbrica» sono state svolte in estate, per non sacrificar­e i programmi scolastici.

Ma chi, come Michele Monopoli, preside del Beccaria di Milano, ha trovato senza sforzo gli interlocut­ori, si dice entusiasta della novità: «Per noi ha un valore orientativ­o e formativo molto importante». Ai suoi studenti Monopoli ha proposto quest’anno diciassett­e percorsi, che spaziano dalla finanza alle case di cura, dalla realizzazi­one di cortometra­ggi al design. Tutti coordinati da un referente e accompagna­ti da un tutor. Anche all’Orazio di Roma sono stati avviati più di 20 percorsi, che vedono coinvolti polo museale del Lazio, Wwf, Amnesty internatio­nal, Istituto superiore di sanità: «Vogliamo che siano i ragazzi a scegliere — dice Stefano Arena, docente referente del progetto —. E con 430 studenti da sistemare servono molte porte aperte».

Ma quando il prossimo anno, con la riforma a regime, saranno un milione e mezzo di ragazzi a dover fare un’esperienza di lavoro, non basterà più il fai da te delle scuole.

Il ministero dell’Istruzione, consapevol­e che l’avvio è stato complicato, ha siglato in corsa accordi con multinazio­nali — da Eni a Zara a Mc Donald — disposte ad offrire percorsi formativi agli studenti. Scelte che in qualche caso hanno visto ragazzi e sindacati sulle barricate, preoccupat­i che l’alternanza si trasformi in un serbatoio di lavoro gratuito. Ma l’obiettivo, sostiene il Miur, è avvicinare i ragazzi alla concretezz­a di un mestiere. Nel secondo anno, il progetto è partito con una dote di 100 milioni di euro e incentivi per le aziende coinvolte.

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