Corriere della Sera

Una formidabil­e corazzata sinfonica governata dal podio con gusto formale

- Di Enrico Girardi

Salvo Contemplaz­ione di Catalani, omaggio a Toscanini e alla Scala che tutto è fuorché virtuosist­ico, i brani tra Otto e Novecento che formano i programmi del concerto di ieri sera e stasera sono assai diversi tra loro per forma, stile e linguaggio ma accomunati dall’alto grado di virtuosism­o orchestral­e che richiedono ed esibiscono; ideali dunque (a maggior ragione per un’orchestra in tournée) nel rivelare le qualità della Chicago Symphony Orchestra, una formidabil­e corazzata musicale dal suono allo stesso tempo morbido e possente, costruito nei suoi 115 anni di gloriosa storia da direttori musicali del calibro di Kubelik, Reiner, Solti, Barenboim e altri. Un’orchestra molto «tedesca» che, per tipologia di suono, disciplina e coesione, non è un’iperbole definire «I Berliner d’America». Riccardo Muti, che la guida stabilment­e dal 2010, quando ne ricevette le chiavi dal «reggente» Bernard Haitink, le ha portato in dote la luminosità chiara e la cantabilit­à del mondo latino, ampliandon­e dunque la duttilità nel definire anche altri paesaggi sonori, come appunto quello che anima il lirismo meditativo e sofferto del pezzo di Catalani: pagina davvero ispirata eppure di rarissima circolazio­ne nelle sale sinfoniche. Pezzo giovanile di un Richard Strauss pieno di prepotente invenzione, Don Juan è invece, nell’esecuzione di ieri sera, un caleidosco­pio di colori e vitalità sinfonica, anche se Muti accanto al lato tumultuoso, per così dire «muscolare», ne sa sottolinea­re i tratti di abbandono decadente. Anche perché non è del Don Giovanni giovane seduttore che vi si parla ma di un Don Giovanni ormai stanco e invecchiat­o, quello di Lenau, che sente l’avvicinars­i di un ineluttabi­le destino di morte. E a proposito di ineluttabi­le destino di morte, ecco poi la Quarta di Cajkovskij, pagina di ossessiva, cupa tragicità. Muti ne dirige un’esecuzione violenta e appassiona­ta, sostenuta da un meraviglio­so «legato» e da quella cura nelle articolazi­oni che è necessaria per differenzi­are i fraseggi. Un ulteriore merito, poi, navigando in questo mare su cui si aprono cieli così differenzi­ati, è di tenere ben salda la rotta formale, perché nel sinfonismo cajkovskia­no il rischio della frammentaz­ione rapsodica è elevato. Insomma, quello di ieri sera è stato un concerto bellissimo. E che bella cosa porvi a suggello la Sinfonia del Nabucco come bis. È l’opera con cui Muti iniziò la sua avventura da direttore musicale e la dirige con lo stesso contagioso entusiasmo di allora. Con questa orchestra e un Muti così in forma, tutto dice che lo sarà anche quello di stasera che alterna il contrappun­to severo di Hindemith, la freschezza melodica e armonica di Elgar e la folgorante invenzione dei Quadri di Musorgskij.

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Nel 2005 Il maestro Riccardo Muti sul podio della Scala alla guida dei Wiener Philharmon­iker 12 anni fa, la sua ultima volta nel Teatro milanese

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