Una formidabile corazzata sinfonica governata dal podio con gusto formale
Salvo Contemplazione di Catalani, omaggio a Toscanini e alla Scala che tutto è fuorché virtuosistico, i brani tra Otto e Novecento che formano i programmi del concerto di ieri sera e stasera sono assai diversi tra loro per forma, stile e linguaggio ma accomunati dall’alto grado di virtuosismo orchestrale che richiedono ed esibiscono; ideali dunque (a maggior ragione per un’orchestra in tournée) nel rivelare le qualità della Chicago Symphony Orchestra, una formidabile corazzata musicale dal suono allo stesso tempo morbido e possente, costruito nei suoi 115 anni di gloriosa storia da direttori musicali del calibro di Kubelik, Reiner, Solti, Barenboim e altri. Un’orchestra molto «tedesca» che, per tipologia di suono, disciplina e coesione, non è un’iperbole definire «I Berliner d’America». Riccardo Muti, che la guida stabilmente dal 2010, quando ne ricevette le chiavi dal «reggente» Bernard Haitink, le ha portato in dote la luminosità chiara e la cantabilità del mondo latino, ampliandone dunque la duttilità nel definire anche altri paesaggi sonori, come appunto quello che anima il lirismo meditativo e sofferto del pezzo di Catalani: pagina davvero ispirata eppure di rarissima circolazione nelle sale sinfoniche. Pezzo giovanile di un Richard Strauss pieno di prepotente invenzione, Don Juan è invece, nell’esecuzione di ieri sera, un caleidoscopio di colori e vitalità sinfonica, anche se Muti accanto al lato tumultuoso, per così dire «muscolare», ne sa sottolineare i tratti di abbandono decadente. Anche perché non è del Don Giovanni giovane seduttore che vi si parla ma di un Don Giovanni ormai stanco e invecchiato, quello di Lenau, che sente l’avvicinarsi di un ineluttabile destino di morte. E a proposito di ineluttabile destino di morte, ecco poi la Quarta di Cajkovskij, pagina di ossessiva, cupa tragicità. Muti ne dirige un’esecuzione violenta e appassionata, sostenuta da un meraviglioso «legato» e da quella cura nelle articolazioni che è necessaria per differenziare i fraseggi. Un ulteriore merito, poi, navigando in questo mare su cui si aprono cieli così differenziati, è di tenere ben salda la rotta formale, perché nel sinfonismo cajkovskiano il rischio della frammentazione rapsodica è elevato. Insomma, quello di ieri sera è stato un concerto bellissimo. E che bella cosa porvi a suggello la Sinfonia del Nabucco come bis. È l’opera con cui Muti iniziò la sua avventura da direttore musicale e la dirige con lo stesso contagioso entusiasmo di allora. Con questa orchestra e un Muti così in forma, tutto dice che lo sarà anche quello di stasera che alterna il contrappunto severo di Hindemith, la freschezza melodica e armonica di Elgar e la folgorante invenzione dei Quadri di Musorgskij.