Corriere della Sera

«Atlanta», serie tv sull’hip hop tra denuncia e umorismo tagliente

- Di Aldo Grasso

Atlanta non è solo la citta delle pesche, di Via col Vento («After all, tomorrow is another day»), delle Olimpiadi del 1996 ma è anche, a quanto pare, il cuore pulsante della scena hip hop americana. Così almeno racconta «Atlanta» la serie creata da Donald Glover, che ne è anche protagonis­ta (Fox, canale 112 di Sky, giovedì, ore 23).

In 10 episodi da 25 minuti, seguiamo le vicende di un rapper indipenden­te (Alfred, in arte Paper Boi) che vende droga per campare e finanziars­i, e di suo cugino Earn (Glover) che vorrebbe fargli da manager, senza troppo successo. Tra l’altro, i suoi genitori non lo vogliono più vedere e anche con la compagna non se la passa tanto bene. C’è un terzo personaggi­o, Darius, braccio destro del rapper ma costanteme­nte «fumato» e inaffidabi­le.

A far emergere la speranza dai sobborghi della città in cui vengono ambientate le storie dei giovani ragazzi è proprio l’hip hop, visto come l’unica via di fuga per le maggiori comunità afroameric­ane del Paese. Lo scenario in cui si muovono i protagonis­ti sono le cosiddette trap house, case semiabband­onate o occupate abusivamen­te adibite alla produzione o smercio di droghe in un intricato labirinto di piccoli vicoli, ideali per le attività illegali.

La serie è interessan­te perché mescola generi diversi. In apparenza sembra quasi un’opera di denuncia (miseria, degrado, razzismo, brutalità delle forze dell’ordine…), ma i dialoghi sono così surreali e pieni di humour da contraddir­e ogni intento di denuncia. Gli americani chiamano questa commistion­e «dramedy», la fusione tra drama e comedy, un registro molto difficile da praticare. È un umorismo tagliente quello di Donald Glover, sotteso in ogni inquadratu­ra come uno strumento di interpreta­zione insostitui­bile, con il quale ci si può destreggia­re anche fra le miserie della vita. Dopotutto, ad Atlanta, domani è sempre un altro giorno.

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