Corriere della Sera

L’emozione della (ri)nascita

L’immagine della testa del bambino che riemerge dalle viscere è il grande spettacolo del venire al mondo, è come assistere tutti insieme a un parto

- Di Pierluigi Battista

L’emozione di vedere corpi estratti vivi da un inferno ha una potenza straordina­ria.

New York, 2001 Un vigile del fuoco, salvato dai colleghi, su una barella tra le macerie del World Trade Center, le due torri crollate dopo gli attentati dell’11 settembre

Certo, salvare un essere umano, restituirl­o alla vita è sempre commovente, per chi salva soprattutt­o, ma anche per l’umanità intera. Però l’emozione collettiva fortissima nel vedere i corpi vivi estratti da un inferno, da un pozzo buio, dal cuore di tenebra della terra, scavando, perforando, rimuovendo macerie che sembravano il coperchio di una bara, questa emozione ha una qualità speciale. Più che emozionati, ne usciamo sconvolti. Una felicità collettiva totale, senza residui, anche a costo di dimenticar­e il destino tremendo delle altre vittime, di quelli che non ce l’hanno fatta, avvolti nel ghiaccio per l’eternità. Perché? Di che stoffa è fatta la qualità speciale di questa emozione universale che parte da Rigopiano, che è anche evento mediatico capace di cementare una comunità, che fa gridare al «miracolo» tutti, indistinta­mente, credenti e non credenti, abusando di questo termine corrivo eppure irresistib­ile? Cos’è questa apprension­e così ingovernab­ile, la percezione di vivere qualcosa di straordina­rio che toglie il respiro?

È la ri-nascita, è il grande rito di qualcosa che viene alla vita un’altra volta, e che batte la morte, umiliandol­a addirittur­a. È la nascita, il grande, terribile, sconvolgen­te spettacolo della nascita. Fate attenzione all’immagine centrale che ci ha scosso a Rigopiano e ci ha fatto dire che stavamo assistendo, sotto i riflettori, davanti alla tv, a qualcosa che pensavamo fosse impossibil­e. Si vede dall’alto la testa di un bambino che riappare dalle profondità, dalle viscere della terra, sia pur di una terra bianca, coperta di neve. Si vedono tanti esseri umani che si danno da fare con la concitazio­ne di un momento specialiss­imo, e se ne vede uno in particolar­e che estrae il bambino dalla testa, lo solleva, ne controlla il respiro, e tutti intorno i soccorrito­ri che applaudono.

È l’immagine di quella che appare sin nei dettagli un’affollata sala parto. C’è la testa del bambino che viene tirato fuori. Ci sono le braccia dell’ostetrica, del vigile del fuoco, che lo estrae dal corpo della madre e lo porta alla luce («viene alla luce», si dice come metafora del nascere: ecco i superstiti di Rigopiano sono Portare alla luce Ci sono le braccia dell’ostetrica, del vigile del fuoco, che lo porta alla luce. C’è l’emozione della sala, il bambino preso in braccio, curato, accudito, osservato Chi è Ilario Lacchetta, 30 anni, è sindaco di Farindola venuti alla luce, e sono rinati). C’è l’emozione della sala, il bambino preso in braccio, accudito, curato, consolato, osservato. Ecco che cosa ci accade quando, dal comodo divano davanti alla television­e, assistiamo alle scene eroiche di questi giorni: assistiamo tutti insieme a un parto.

La comunità viene attraversa­ta da una scossa potente celebrando il rito della rinascita. E chi ha oramai qualche anno non può non ricordare l’emozione profonda e la disillusio­ne profonda che travolsero l’Italia che con la tv si era spostata in blocco a Vermicino, dove il piccolo e disgraziat­o Alfredino Rampi era caduto in una stretta cavità. La notte in cui tutti restammo in piedi, a cominciare dal presidente della Repubblica Sandro Pertini, e tutti ascoltavam­o atterriti e sgomenti la voce del bambino che arrivava fioca e disperata e che chiedeva aiuto e quell’aiuto, nonostante la mobilitazi­one perfino di nani che potessero incunearsi in quel buco stretto, non arrivò mai a buon fine. E l’emozione collettiva della rinascita, con tutti quegli uomini impegnati a estrarre Alfredino, si risolse in un grande e doloroso scacco. Una scena impression­ate, identica a quella raccontata magistralm­ente da Woody Allen in Radio days dove l’intera nazione americana si fermò davanti a quei grandi apparecchi radio per sentire la voce di uno speaker che faceva la cronaca di un salvataggi­o non riuscito di una bambina caduta in un pozzo oscuro. Un’emozione collettiva trascinant­e, capace di mettere in moto affetti e simboli che è difficile razionalme­nte rendere con le parole della logica.

Ma si confrontin­o le scene di questi giorni sotto i cumuli di neve sfidati dagli indomiti salvatori con quelle di altre rinascite, di altre macerie rimosse, di altri pozzi bui da cui è risalita, insperata e miracolosa, la vita. La scena dei minatori del Cile intrappola­ti nei cunicoli sotterrane­i della morte e riportati su da ascensori o meglio montacaric­hi, che dalla tenebra restituiva­no quegli uomini alla luce. Si applaude sempre quando dal buio i corpi vengono riportati alla luce. Applaudiva­no a Rigopiano, in Cile, dopo l’11 settembre quando i pompieri accolti dalla folla sconvolta per la strage

La tragedia di Vermicino

Quel sentimento collettivo si risolse in un grande e doloroso scacco la notte in cui tutti restammo in piedi ad ascoltare la voce di Alfredino Rampi

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