L’emozione della (ri)nascita
L’immagine della testa del bambino che riemerge dalle viscere è il grande spettacolo del venire al mondo, è come assistere tutti insieme a un parto
L’emozione di vedere corpi estratti vivi da un inferno ha una potenza straordinaria.
New York, 2001 Un vigile del fuoco, salvato dai colleghi, su una barella tra le macerie del World Trade Center, le due torri crollate dopo gli attentati dell’11 settembre
Certo, salvare un essere umano, restituirlo alla vita è sempre commovente, per chi salva soprattutto, ma anche per l’umanità intera. Però l’emozione collettiva fortissima nel vedere i corpi vivi estratti da un inferno, da un pozzo buio, dal cuore di tenebra della terra, scavando, perforando, rimuovendo macerie che sembravano il coperchio di una bara, questa emozione ha una qualità speciale. Più che emozionati, ne usciamo sconvolti. Una felicità collettiva totale, senza residui, anche a costo di dimenticare il destino tremendo delle altre vittime, di quelli che non ce l’hanno fatta, avvolti nel ghiaccio per l’eternità. Perché? Di che stoffa è fatta la qualità speciale di questa emozione universale che parte da Rigopiano, che è anche evento mediatico capace di cementare una comunità, che fa gridare al «miracolo» tutti, indistintamente, credenti e non credenti, abusando di questo termine corrivo eppure irresistibile? Cos’è questa apprensione così ingovernabile, la percezione di vivere qualcosa di straordinario che toglie il respiro?
È la ri-nascita, è il grande rito di qualcosa che viene alla vita un’altra volta, e che batte la morte, umiliandola addirittura. È la nascita, il grande, terribile, sconvolgente spettacolo della nascita. Fate attenzione all’immagine centrale che ci ha scosso a Rigopiano e ci ha fatto dire che stavamo assistendo, sotto i riflettori, davanti alla tv, a qualcosa che pensavamo fosse impossibile. Si vede dall’alto la testa di un bambino che riappare dalle profondità, dalle viscere della terra, sia pur di una terra bianca, coperta di neve. Si vedono tanti esseri umani che si danno da fare con la concitazione di un momento specialissimo, e se ne vede uno in particolare che estrae il bambino dalla testa, lo solleva, ne controlla il respiro, e tutti intorno i soccorritori che applaudono.
È l’immagine di quella che appare sin nei dettagli un’affollata sala parto. C’è la testa del bambino che viene tirato fuori. Ci sono le braccia dell’ostetrica, del vigile del fuoco, che lo estrae dal corpo della madre e lo porta alla luce («viene alla luce», si dice come metafora del nascere: ecco i superstiti di Rigopiano sono Portare alla luce Ci sono le braccia dell’ostetrica, del vigile del fuoco, che lo porta alla luce. C’è l’emozione della sala, il bambino preso in braccio, curato, accudito, osservato Chi è Ilario Lacchetta, 30 anni, è sindaco di Farindola venuti alla luce, e sono rinati). C’è l’emozione della sala, il bambino preso in braccio, accudito, curato, consolato, osservato. Ecco che cosa ci accade quando, dal comodo divano davanti alla televisione, assistiamo alle scene eroiche di questi giorni: assistiamo tutti insieme a un parto.
La comunità viene attraversata da una scossa potente celebrando il rito della rinascita. E chi ha oramai qualche anno non può non ricordare l’emozione profonda e la disillusione profonda che travolsero l’Italia che con la tv si era spostata in blocco a Vermicino, dove il piccolo e disgraziato Alfredino Rampi era caduto in una stretta cavità. La notte in cui tutti restammo in piedi, a cominciare dal presidente della Repubblica Sandro Pertini, e tutti ascoltavamo atterriti e sgomenti la voce del bambino che arrivava fioca e disperata e che chiedeva aiuto e quell’aiuto, nonostante la mobilitazione perfino di nani che potessero incunearsi in quel buco stretto, non arrivò mai a buon fine. E l’emozione collettiva della rinascita, con tutti quegli uomini impegnati a estrarre Alfredino, si risolse in un grande e doloroso scacco. Una scena impressionate, identica a quella raccontata magistralmente da Woody Allen in Radio days dove l’intera nazione americana si fermò davanti a quei grandi apparecchi radio per sentire la voce di uno speaker che faceva la cronaca di un salvataggio non riuscito di una bambina caduta in un pozzo oscuro. Un’emozione collettiva trascinante, capace di mettere in moto affetti e simboli che è difficile razionalmente rendere con le parole della logica.
Ma si confrontino le scene di questi giorni sotto i cumuli di neve sfidati dagli indomiti salvatori con quelle di altre rinascite, di altre macerie rimosse, di altri pozzi bui da cui è risalita, insperata e miracolosa, la vita. La scena dei minatori del Cile intrappolati nei cunicoli sotterranei della morte e riportati su da ascensori o meglio montacarichi, che dalla tenebra restituivano quegli uomini alla luce. Si applaude sempre quando dal buio i corpi vengono riportati alla luce. Applaudivano a Rigopiano, in Cile, dopo l’11 settembre quando i pompieri accolti dalla folla sconvolta per la strage
La tragedia di Vermicino
Quel sentimento collettivo si risolse in un grande e doloroso scacco la notte in cui tutti restammo in piedi ad ascoltare la voce di Alfredino Rampi