Corriere della Sera

Farinetti (Eataly) «Se fossi Renzi andrei all’estero»

- Di Aldo Cazzullo

Eataly.

«Un rischio pazzesco».

E perché mai?

«Ne aprimmo sette in Giappone. Perdevamo milioni. Non avevamo calcolato che i giapponesi mangiano italiano quanto noi mangiamo giapponese: una volta ogni tanto».

Quindi?

«L’unica speranza era New York. Aprimmo sulla Quinta Strada, quando ancora l’Italia nella cultura americana era Little Italy: 80 grammi di pasta, 250 grammi di sugo, un etto di parmesan. Noi abbiamo proposto l’Italia vera. L’apertura era fissata per le 10 del 31 agosto 2010. Alle 7 c’erano due isolati di coda. Lì ho capito che ci saremmo salvati».

Oggi c’è qualche Eataly che perde?

«Bari. Ma mica si può guadagnare dappertutt­o. Stiamo lavorando bene, abbiamo creato una piazza dove vendere prodotti di tutto il Sud. Andremo in utile anche lì».

A Bari lei faceva perquisire i suoi dipendenti all’uscita.

«Quando l’ho saputo ho dato disposizio­ne che non si facesse più. In tutti gli ipermercat­i del mondo la maggior parte dei furti avviene all’interno. Ma non è con i controlli che si risolve il problema; è con le motivazion­i. I dipendenti non vanno perquisiti; vanno trattati bene».

Lei è stato accusato di trattarli malissimo: 800 euro al mese.

«Io applico i contratti di categoria, e li miglioro. Tutti hanno diritto di pranzare gratis nei ristoranti dove pranzano i clienti. Quasi tutti hanno 15 mensilità. Certo, con 1200-1300 euro al mese non si campa bene. Tenteremo di fare ancora meglio».

Quanta della merce che esce da Eataly è rubata?

«Siamo nella media italiana: tra lo 0,5 e il 2%. È così anche a Monaco e a Copenaghen. In America e in Giappone invece non ruba quasi nessuno. A New York hanno paura di finire in galera, a Tokyo in manicomio».

In manicomio?

«In Giappone chi ruba è considerat­o un matto. Loro esagerano; ma noi dovremmo spiegare ai giovani che l’etica è un valore, e può essere un vantaggio. I miei vecchi mi hanno insegnato così».

Ferrero e Fenoglio, il vino e il tartufo. Qual è il segreto della Langa?

«Siamo maliziosi, ma non cattivi. Accorti, ma non disonesti: ad Alba la Dc non rubava; infatti la votavano anche gli operai. Siamo degli irregolari, come Carlin Petrini».

Siete amici?

«Molto. Gli esperti insegnano a pensare globale e agire locale, Carlin mi ha insegnato il contrario: pensa locale, agisci globale. E poi la Langa è una terra magica, dove i venti del mare incrociano quelli freddi del Nord. Per questo il tartufo ha un profumo diverso. Come il barbaresco di Gaja e Ceretto».

Chi è il migliore?

«Gaja è il Coppi, Ceretto il Bartali del vino. Da ragazzo, come quasi tutti i piemontesi, ero per Coppi».

Dice così perché Ceretto l’ha definita «cul di frigu», quello dei frigorifer­i.

«Sono fiero di aver venduto elettrodom­estici. Mio padre aprì con i suoi soci uno dei primi ipermercat­i, alla periferia di Alba. A me disse: “Ti che ati studià, beica lon”: tu che hai studiato, guarda questo. Il reparto elettrodom­estici, appunto. Che era poi una pila con una lavatrice, una tv, un ferro da stiro, un’aspirapolv­ere».

Cos’ha studiato? Farinetti, dieci anni fa nasceva

«Economia. Mi mancavano sette esami quando ho smesso, per lavorare con papà. Tra il ‘78 e l’84 non ho fatto un giorno di vacanza. Il mattino compravo, il pomeriggio vendevo, la sera consegnavo. Ho portato di persona migliaia di lavatrici. Ma la cosa più bella erano gli occhi dei bambini quando uscivano con l’hi-fi».

Lei sa cosa si racconta in Langa sulla fortuna della sua famiglia, vero? Il tesoro della Quarta Armata, spartito tra la Curia e i capi partigiani, tra cui suo padre…

«Io non querelo mai nessuno, tranne coloro che tentano di infangare la memoria di mio padre. Ho scritto un libro per raccontare la sua vera storia. Il comandante Paolo era un uomo di un coraggio straordina­rio. Nella Alba occupata dai fascisti guidò un’irruzione armi in pugno nelle carceri, per liberare i suoi uomini e altri partigiani condannati a morte. Io all’anagrafe mi chiamo Natale; Oscar era il nome di un compagno di mio padre, caduto in combattime­nto. Magari avessimo avuto un tesoro nascosto. Avevamo solo debiti». Ex Renzi lascia l’incarico a Gentiloni Matteo Renzi Per me Renzi è un fuoriclass­e, il suo errore è stato apparire presuntuos­o. Fossi in lui andrei all’estero, farei altro, per poi tornare ripartendo da zero Slow Food Carlo Petrini, 67 anni Carlin Petrini Noi della Langa siamo degli irregolari come Petrini. Gli esperti insegnano a pensare globale e agire locale. Carlin mi ha insegnato il contrario

«Ma io a essere amico di Renzi ci ho perso. Non solo non ho mai preso soldi pubblici; sono diventato un bersaglio. Mi hanno attaccato in modo gratuito, proprio perché stimavo Matteo e lo dicevo».

Ora non lo stima più?

«Ho conosciuto un po’ tutti i politici delle ultime generazion­i. Ho rapporti di stima con molti di loro, che sono stati ospiti della Fondazione Mirafiore qui a Fontanafre­dda, nella tenuta che Vittorio Emanuele II regalò alla Bela Rosin. Ma di fuoriclass­e ne ho conosciuto uno solo: Matteo Renzi».

Addirittur­a?

«Lo vada a chiedere a Obama. Era dai tempi di De Gasperi che in America un leader italiano non veniva accolto così».

Però ha vinto Trump. Cosa ne pensa?

«Tutto il male possibile».

E Renzi ha fallito: ha perso il contatto con il Paese, ha straperso il referendum.

«Renzi ha fatto molte ottime cose. Gli 80 euro, il Jobs act, le unioni civili. Dire No al referendum è stato sciocco. Matteo si è beccato un gigantesco “non mi piace”. Il suo errore è stato apparire presuntuos­o».

Perché, non lo è?

«Tutt’altro. Semmai è fantozzian­o. Fa gaffes, finge di riconoscer­e persone di cui non si ricorda. È simpaticis­simo».

Fosse in Renzi, lei cosa farebbe?

«Io ho un carattere peggiore del suo; quindi non avrei retto alla sconfitta. Fossi in lui, mi allontaner­ei dalla politica per qualche anno, andrei all’estero, farei altre esperienze; per poi tornare, ripartendo da zero. Ma capisco i motivi per cui non può farlo. Anche se gli converrebb­e».

E quindi cosa succederà?

«Mi pare inevitabil­e un accordo tra il Pd, che dovrebbe restare unito, e il centro».

Un «bel» governo con Berlusconi?

«Non mi pare che Berlusconi conti ancora molto. Uno come Parisi andrebbe benissimo».

All’Expo le hanno affidato la ristorazio­ne senza gara.

«Dopo tre gare andate deserte. Tutti, anche Slow Food, hanno avuto contratti diretti. Sono orgogliosi­ssimo di Expo. Abbiamo portato 120 osterie e tutte ci hanno guadagnato. In 700 mila hanno visitato gratis la mostra curata da Sgarbi».

E Sala è sotto inchiesta.

«Metto non una, cento mani sul fuoco per

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