Il papà di Stefano Feniello: «Prima mi hanno illuso e ora mi chiedono scusa Io sto qui, voglio vederlo» La fidanzata Francesca è tornata e chiede di lui
Sono le otto di sera e la voce di Alessio Feniello arriva da chissà quale stanza dell’ospedale Santo Spirito di Pescara. Cinquantaquattro anni, amministratore di condominio in un Comune del Pescarese, lui di solito è un uomo mite. Chi l’ha incrociato dice invece che per tutto il giorno è stato agitatissimo. Ma adesso, al telefono, non c’è traccia di quell’agitazione. «Mi dica», risponde con gentilezza. «Cosa vuole sapere?».
Se ha notizie di suo figlio Stefano.
«Nessuna. Ci dicono che dobbiamo aspettare. Avevamo guardato troppo avanti con la speranza ma eravamo stati indotti a farlo, dopo quello che ci avevano detto ieri sera (venerdì, ndr)».
Che cosa vi avevano detto?
«Sono venuti il presidente della Regione, il questore e il prefetto di Pescara a dirci una cosa precisa. Il prefetto ci ha detto: tutto quello che vedete sui media e quello che sentite dire non conta niente, vale solo quello che vi dico io. E ci ha detto che i lavori, lì sulla valanga, andavano avanti, che avevano individuato cinque persone vive delle quali lui aveva i nomi. Fra quelle persone mio figlio era il secondo della lista. La sua fidanzata Francesca era «Ho guardato in ogni ambulanza in arrivo e ogni volta pensavo di abbracciarlo» Fidanzati Stefano Feniello, ancora disperso, e Francesca Bronzi
sono venuti di nuovo a parlarmi, stavolta un politico (il viceministro all’Interno Filippo Bubbico, ndr). Sono venuti a giustificarsi per l’errore, mi hanno spiegato, mi hanno detto che dobbiamo attendere e che in realtà non hanno nessuna notizia certa su Stefano. Non le dico cosa ho risposto...».
Si è arrabbiato?
«Era la prima volta che veniva in queste zone di montagna e in quell’hotel c’era andato per festeggiare il compleanno con la fidanzata».
Ha parlato con Francesca?
«No. Fanno entrare in camera soltanto i genitori e ho parlato con loro. Lei chiede continuamente di Stefano che le era vicino quando è venuta giù la valanga. Aspetta di sapere, di vederlo, di abbracciarlo. Proprio come me, come mia moglie Maria, come l’altro mio figlio Andrea».
Siete tutti in ospedale a Pescara?
«Siamo qui a sperare perché la speranza io non voglio perderla, nonostante tutto. Voglio vedere mio figlio, comunque vada a finire. Voglio averlo davanti ai miei occhi. In quel momento e solo in quel momento saprò se davvero è tutto perduto. Per adesso tutto quello che posso fare è quello che stanno facendo anche tanti altri padri, cioè aspettare».
L’attesa