La prudenza di ogni mossa come fosse lo «Shanghai»
DALLA NOSTRA INVIATA
Si avanza lentamente. Lentissimamente. Con sonde, con secchi da cantiere per portar fuori la neve dai cunicoli, con scavi fatti a mano, con piccole pale, picconi, motoseghe. E viene da chiedersi: perché non «aggredire» l’area della valanga con mezzi più grandi in grado di rendere più veloci le ricerche? La risposta spiega le mille e mille difficoltà da fronteggiare sullo scenario della valanga. Lassù ogni passo è da studiare al millimetro, ogni oggetto, pezzo di legno, secchio di neve spostata, può scombinare gli equilibri già molto precari della struttura crollata. Come quel gioco cinese: lo Shanghai. Si lasciano cadere sul tavolo tanti bastoncini alla rinfusa. Vince chi totalizza più punti e i punti si accumulano spostando un bastoncino alla volta senza muovere nessuno degli altri. Qui il fronte della valanga, largo fino a 4-500 metri, è in qualche modo un enorme Shanghai. Pesi, vibrazioni, spostamenti sono vietati finché ci sono dispersi da recuperare. Ogni sottovalutazione può significare la morte per chi fosse sepolto da neve e macerie, ancora vivo, o magari per i vigili del fuoco e i ragazzi del soccorso alpino e speleologico che scavano cunicoli e si infilano in anfratti strettissimi alla ricerca di chi ancora manca all’appello. Impensabile in queste condizioni far avanzare la turbina più vicino all’area delle ricerche. Troppo pesante, troppe vibrazioni e soprattutto: le sue lame tagliano e spruzzano lontano neve, tronchi e tutto ciò che trovano lungo il percorso. E al Rigopiano nessuno sa bene dove la valanga possa aver trascinato gli ospiti ancora da cercare. Quindi i mezzi pesanti che in teoria potrebbero velocizzare le ricerche restano a distanza, potranno intervenire soltanto quando tutti i dispersi saranno stati recuperati. Solo da quel momento in poi saranno al lavoro ruspe, pale meccaniche e la micidiale pinza selezionatrice, quella specie di mano di ferro gigantesca che frantuma le strutture pericolanti.