La riforma instaura un «sultanato»: Erdogan ottiene pieni poteri per altri dieci anni
Poche ore dopo l’inauguration day, con il giuramento del quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che di Trump è un fervente ammiratore, riceve dal parlamento di Ankara quel che voleva: riforma radicale, in senso presidenzialista della Costituzione; pieni poteri al capo dello Stato, con controllo della magistratura e nomina di tutti i ministri. Una riforma che, puntando sull’azzeramento del numero dei mandati, potrebbe consentire teoricamente a Erdogan di governare fino al 2029. Va bene che in primavera la decisione sarà sottoposta a referendum, ma se il capo può già controllare tutto e decidere su tutto, l’esito è scontato. Ecco fatto. Il percorso, avviato da oltre un anno e accelerato dal «golpe farlocco» del 14 luglio, va a compimento. Approfittando abilmente della debolezza dei suoi avversari e di un sistema di corruzione ampiamente sperimentato, Erdogan ha piegato il suo Paese a una «dittatura di fatto». Gli oppositori più determinati sono in prigione. Il presidente del partito democratico dei popoli (Hdp) Salahettin Demirtas rischia decenni di carcere (il pm ha chiesto 59 anni per lui e 83 anni per il co-presidente Figen Yuksekdag), con un’accusa infamante: «Aver organizzato un gruppo terroristico». E parliamo del partito che si opponeva alla riforma costituzionale. L’opposizione, presentata come «legale», il partito repubblicano del popolo, è sempre sotto tiro. Ogni dissenso è potenzialmente criminale. Chi sgarra sa bene che non ci sarà scampo. Erdogan c’è l’ha fatta. Il mondo, preoccupato da troppi dossier e da una crisi di cui non si riescono a immaginare gli sviluppi, è troppo occupato per prestare attenzione alle sofferenze di una Turchia irriconoscibile. Si pensi che un deputato dell’Hdp, il pacato e tranquillo Garo Paylan, è stato sospeso dall’aula per aver menzionato il «genocidio delle minoranze», e in particolare quella armena. È evidente che la repressione dei rappresentanti
Opposizione Falcidiato dagli arresti e zittito in aula il fronte democratico, la modifica passa grazie all’alleanza con gli estremisti nazionalisti
dell’Hdp ha favorito l’approvazione del disegno di legge, con 339 voti su 480, 9 in più dei tre quinti necessari, aprendo la porta a un vero sultanato. Basta leggere attentamente i poteri che verranno calamitati dal presidente per comprendere che si tratta di una dittatura. Persino nel Medio Oriente arabo, dove la democrazia non è certo di casa, vi sono Paesi dove l’opposizione può avere un ruolo: magari irrilevante, ma senza l’incubo della repressione. Il neo-sultano aveva bisogno di un accordo. Il patto tra il suo partito Akp (Giustizia e Sviluppo) e gli ultrà di destra del Movimento nazionalista (Mhp), da cui proveniva Mehmet Alì Agca, l’attentatore di Papa Giovanni Paolo II, aveva bisogno di impedire la creazione di un solido fronte opposto. Anche a costo di violenze, come quella subita dalla deputata Aylin Nazliaka, aggredita a ceffoni e calci in aula dai colleghi della maggioranza perché si era ammanettata per manifestare il suo dissenso. Tutti i mezzi sono stati utilizzati per impedire qualsiasi turbativa. Povera democrazia. Il 2017 parte con ombre inquietanti.