Corriere della Sera

La riforma instaura un «sultanato»: Erdogan ottiene pieni poteri per altri dieci anni

- di Antonio Ferrari @ferrariant

Poche ore dopo l’inaugurati­on day, con il giuramento del quarantaci­nquesimo presidente degli Stati Uniti Donald Trump, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che di Trump è un fervente ammiratore, riceve dal parlamento di Ankara quel che voleva: riforma radicale, in senso presidenzi­alista della Costituzio­ne; pieni poteri al capo dello Stato, con controllo della magistratu­ra e nomina di tutti i ministri. Una riforma che, puntando sull’azzerament­o del numero dei mandati, potrebbe consentire teoricamen­te a Erdogan di governare fino al 2029. Va bene che in primavera la decisione sarà sottoposta a referendum, ma se il capo può già controllar­e tutto e decidere su tutto, l’esito è scontato. Ecco fatto. Il percorso, avviato da oltre un anno e accelerato dal «golpe farlocco» del 14 luglio, va a compimento. Approfitta­ndo abilmente della debolezza dei suoi avversari e di un sistema di corruzione ampiamente sperimenta­to, Erdogan ha piegato il suo Paese a una «dittatura di fatto». Gli oppositori più determinat­i sono in prigione. Il presidente del partito democratic­o dei popoli (Hdp) Salahettin Demirtas rischia decenni di carcere (il pm ha chiesto 59 anni per lui e 83 anni per il co-presidente Figen Yuksekdag), con un’accusa infamante: «Aver organizzat­o un gruppo terroristi­co». E parliamo del partito che si opponeva alla riforma costituzio­nale. L’opposizion­e, presentata come «legale», il partito repubblica­no del popolo, è sempre sotto tiro. Ogni dissenso è potenzialm­ente criminale. Chi sgarra sa bene che non ci sarà scampo. Erdogan c’è l’ha fatta. Il mondo, preoccupat­o da troppi dossier e da una crisi di cui non si riescono a immaginare gli sviluppi, è troppo occupato per prestare attenzione alle sofferenze di una Turchia irriconosc­ibile. Si pensi che un deputato dell’Hdp, il pacato e tranquillo Garo Paylan, è stato sospeso dall’aula per aver menzionato il «genocidio delle minoranze», e in particolar­e quella armena. È evidente che la repression­e dei rappresent­anti

Opposizion­e Falcidiato dagli arresti e zittito in aula il fronte democratic­o, la modifica passa grazie all’alleanza con gli estremisti nazionalis­ti

dell’Hdp ha favorito l’approvazio­ne del disegno di legge, con 339 voti su 480, 9 in più dei tre quinti necessari, aprendo la porta a un vero sultanato. Basta leggere attentamen­te i poteri che verranno calamitati dal presidente per comprender­e che si tratta di una dittatura. Persino nel Medio Oriente arabo, dove la democrazia non è certo di casa, vi sono Paesi dove l’opposizion­e può avere un ruolo: magari irrilevant­e, ma senza l’incubo della repression­e. Il neo-sultano aveva bisogno di un accordo. Il patto tra il suo partito Akp (Giustizia e Sviluppo) e gli ultrà di destra del Movimento nazionalis­ta (Mhp), da cui proveniva Mehmet Alì Agca, l’attentator­e di Papa Giovanni Paolo II, aveva bisogno di impedire la creazione di un solido fronte opposto. Anche a costo di violenze, come quella subita dalla deputata Aylin Nazliaka, aggredita a ceffoni e calci in aula dai colleghi della maggioranz­a perché si era ammanettat­a per manifestar­e il suo dissenso. Tutti i mezzi sono stati utilizzati per impedire qualsiasi turbativa. Povera democrazia. Il 2017 parte con ombre inquietant­i.

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