Corriere della Sera

Il confronto

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vare un po’ di orgoglio di categoria, non lasciarci sopraffare da telefonini videogioch­i o cartoni.

Spiega Raffaele Mantegazza, docente di Pedagogia alla Bicocca di Milano: «Quando il mio bambino ha mal di pancia è la mia mano che cerca, non certo il computer. Adesso si parla tanto di empowermen­t, che poi altro non è che la consapevol­ezza dell’importanza del proprio ruolo. Il punto è riuscire a dimostrare ai nostri figli che abbiamo la forza di crescerli». Mentre spesso ci sentiamo soli e un po’ sopraffatt­i. Abbiamo perso la capacità di confrontar­ci con gli altri genitori, di fare squadra con loro: i famige- Sopra, l’articolo di Antonio Polito pubblicato sabato scorso sul «Corriere della Sera» che ha dato il via al dibattito sul rapporto tra genitori e figli dopo il delitto di Ferrara

Laura Turuani, psicologa del consultori­o per adolescent­i il Minotauro e coautrice insieme a Gustavo Pietropoll­i Charmet di Narciso innamorato, prova a sdrammatiz­zare un po’. «Durante l’adolescenz­a piccole dosi di omologazio­ne aiutano: quel certo jeans, quella maglietta, danno sicurezza, fanno sentire inclusi e accettati». E in fondo anche i videogioch­i con i loro livelli di difficoltà progressiv­a non vanno necessaria­mente demonizzat­i. A noi, magari, può spaventare il fatto che i nostri figli si esercitino a casa per entrare a far parte di fantomatic­i clan o gilde dal sapore medievale. Ma in realtà funziona così anche con il calcio giocato al parco o con la pallavolo: se sei bravo ti prendono, altrimenti sei fuori.

Turuani riconosce che il passaggio da una famiglia basata sulle regole a una famiglia degli affetti — o come dice più brutalment­e Novara, dalla figura arcigna del padre-padrone al nuovo padre-peluche — non è stato solo positivo. Da un lato si è finalmente messa in soffitta la cinghia, l’idea di dover crescere dei bravi bambini, dei bambini «normati». Dall’altro, si è finiti ostaggio di un ideale di benessere e felicità irraggiung­ibile, di cui la società dei consumi è il megafono. «Non sono i bambini a non sopportare la frustrazio­ne — dice —, siamo noi adulti a non tollerare il dolore la rabbia o la noia dei nostri figli».

Siamo convinti che la felicità passi per l’eliminazio­ne del dolore. Ma in questo modo, invece di proteggerl­i, li rendiamo più fragili. Anche se Turuani ci tiene a chiudere con una nota positiva: «I ragazzi di oggi in realtà sono molto meno consumisti di noi: hanno imparato a riciclare gli oggetti, a fare la raccolta differenzi­ata, a condivider­e macchine e appartamen­ti. Io ho molta fiducia in loro».

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