Da Sky a Cavalli, da Publitalia a Fca: 1.500 con la valigia per seguire il lavoro
Castano (Mise): «I cambi di sede non siano lo stratagemma per ridurre il personale»
Il lavoro è mobile. E sempre più spesso obbliga a fare la valigia. Lasciamo stare i casi di delocalizzazione di aziende all’estero. E parliamo invece delle imprese che accorpano sedi pur restando in Italia. Per via di una ristrutturazione dovuta alla fusione di gruppi prima concorrenti. O per la cessione/acquisizione di nuovi appalti. Fatto sta che sempre più spesso intere famiglie si trovano davanti al dilemma: cercare un nuovo posto oppure trasferire in pianta stabile mogli, mariti, figli e mutui in un’altra città. E così qualcuno, anche nel sindacato al di fuori del pubblico impiego, si risente quando sente parlare di «insegnanti deportati» dalla «buona scuola» del governo Renzi. Perché in realtà il problema ce l’hanno un po’ tutti.
L’ultimo caso in ordine di tempo è quello di Sky Italia. Duecento esuberi e 300 trasferimenti da Roma a Milano. Ma non è certo l’unico. «Si tratta di una tipologia di crisi occupazionale sempre più frequente», rileva dal suo osservatorio Giampiero Castano, coordinatore dell’unità del ministero dello Sviluppo economico per la gestione delle vertenze delle imprese in crisi. «L’attività d’impresa è per definizione libera. Ma i cambi di sede non diventino lo stratagemma per ridurre in modo più semplice il personale», auspica Castano.
I casi delle aziende che traslocano sono molto diversi tra loro. Quando la sede si sposta sotto i 50 chilometri non è necessario alcun accordo sindacale, chi non accetta di cambiare indirizzo perde il posto. Quando si va oltre i 50 chilometri si apre una trattativa con il sindacato. Salvo eccezioni. Prendiamo l’esempio Publitalia. Nella concessionaria del gruppo Mediaset al momento 24 dipendenti stanno trattando con l’azienda il trasloco da Roma a Milano. Ma nel negoziato il sindacato non è coinvolto semplicemente perché i lavoratori non sono iscritti ad alcuna sigla e preferiscono gestire il passaggio direttamente con l’azienda. Una decina dei 24 potrebbe valutare di continuare a lavorare a Roma ma alle dipendenze di un’altra agenzia a cui sarebbe appaltato il servizio. Gli altri sceglieranno tra due strade: andare a Milano con un bonus economico per il trasferimento o accettare una buonuscita.
Dal piccoli numeri di Publitalia al più imponente trasloco — seppure temporaneo — gestito da Fca con Fim Cisl e Uilm Uil. Qui i 500 lavoratori che si trasferiranno da Pomigliano a Cassino (94 chilometri) potranno contare su 550 euro mensili in più. L’intesa resta in vigore fino al settembre 2018.
Nella bergamasca Italcementi, dopo la vendita alla tedesca Heidelbergcement, è stato firmato lo scorso maggio un accordo per la riorganizzazione della produzione. A oggi, su 350 persone coinvolte nella ristrutturazione, una trentina, soprattutto quadri e dirigenti, si sono trasferiti in Germania, ad Heidelberg.
Tornando in Italia, la direzione degli spostamenti non va sempre da Roma a Milano. Anche il capoluogo lombardo fa i conti con il trasferimento di attività in diversi settori. Il gruppo di Cincinnati Convergys vorrebbe chiudere il call center di Cernusco sul Naviglio e portare 221 addetti a Cagliari. Il fondo Clessidra che ha rilevato l’attività di Roberto Cavalli vorrebbe portare a Firenze la sede milanese dell’azienda della moda.
«I casi si stanno moltiplicando. Ma quando il problema si crea è tardi, forse il legislatore dovrebbe dare agli enti locali strumenti adatti a fare fronte alla situazione», valuta Elena Buscemi, consigliera delegata al Lavoro della città metropolitana milanese.
Certo, ci sono anche casi in cui si sono cercate soluzioni per rendere più sostenibili i cambiamenti di sede. Prendiamo Whirlpool. La multinazionale ha stretto un accordo per portare i dipendenti che si rendono disponibili da Carinaro (Caserta) a Cassinetta (Varese). A oggi 52 hanno accettato. Anche perché l’intesa prevede, in caso di assunzioni, la precedenza ai parenti dei dipendenti.