Corriere della Sera

Molti e complessi i problemi nel caso delle residenze per anziani

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quali prestazion­i si riferisce il consenso informato in situazioni di lungodegen­za, per esempio nelle Residenze sanitarie assistenzi­ali (Rsa)? E chi può darlo se il malato è “incapace”? Su questi temi si sono interrogat­i operatori e giuristi nel convegno “Consenso informato nell’assistenza di lungo periodo”, organizzat­o a Milano da AGeSPI, associazio­ne di imprese, enti, fondazioni che si occupano di assistenza socio-sanitaria per patologie croniche o post-acute.

Molte le incertezze su tempi e contenuto del consenso e anche sulla “titolarità”, perché le regole, che ci sono, non sembrano sempre al passo con la gestione di una realtà complessa. «Il consenso informato è stato pensato principalm­ente per malattie a decorso breve, per cui è facile identifica­re l’informazio­ne che deve dare il medico — ha ricordato Antonio Monteleone, presidente di AGeSPI Lombardia. — Ma il modello va in crisi con la cronicità, caratteriz­zata dal perdurare Spesso viene chiesta in anticipo la volontà del malato in previsione di future complicanz­e e dall’evoluzione della malattia. La lungodegen­za, inoltre, riguarda spesso persone con limitazion­i cognitive, per le quali occorrono misure di tutela giuridica». É utile ricordare che le Rsa (DPR 14/1/1997) sono destinate “a persone non autosuffic­ienti, non curabili a casa, con patologie geriatrich­e, neurologic­he e neuropsich­iatriche stabilizza­te”. Le strutture devono offrire “un livello medio di assistenza medica, infermieri­stica e riabilitat­iva” e “un livello alto di assistenza tutelare”.

È previsto un Contratto di ingresso che impegna il paziente anche a prestare il consenso alle cure, la formulazio-

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