Ha solo un po’ di febbre Tengo il bambino a casa?
I genitori si dividono fra cauti a oltranza e ottimisti. Senza cadere in timori eccessivi va però considerato che c’è il rischio di far durare di più la malattia
Siamo nel pieno del periodo da “bollino rosso” per chi ha figli che vanno a scuola: difficile che in questi mesi non prendano qualche malanno, dai virus gastrointestinali alle infezioni respiratorie, che obbligano a fare i conti con tosse e raffreddore. Alle prime avvisaglie di malessere, la domanda che si fanno mamme e papà è sempre la stessa: il bimbo può andare a scuola o è meglio che stia a casa? La risposta spesso conduce alla porta della classe, almeno stando al National Poll on Children’s Health del Mott Children’s Hospital, in Michigan: il sondaggio americano, condotto su quasi 1.500 genitori con almeno un figlio dai 6 ai 18 anni, mostra che soltanto la diarrea è un sintomo così «dirompente» da convincere mamme e papà a tenere a casa i figli (80% dei casi). Un episodio di vomito induce 6 genitori su 10 a non mandare a scuola i bambini, ma se c’è soltanto un poco di febbre 1 su 2 entra in classe; tutti a scuola poi se il problema è una congiuntivite (solo il 16% rimane a casa) o un semplice raffreddore con tosse secca (l’assenza scende al 12% dei casi).
«Mamme e papà spesso non riescono a valutare le conseguenze cliniche di un sintomo o a giudicare se la malattia peggiorerà uscendo, così la decisione è spesso presa tenendo conto di fattori come la logistica: 1 genitore su 10 ammette di non potersi assentare dal lavoro e 1 su 5 ha confessato di aver talvolta mandato a scuola i figli perché non aveva nessuno a cui affidarli», sottolinea il responsabile della ricerca, Gary Freed. Quando i bambini sono in età da scuola materna, la preoccupazione del contagio a catena nei confronti degli altri alunni e, soprattutto, il timore che la malattia possa peggiorare spinge tanti a essere prudenti; molte scuole dell’infanzia inoltre hanno regole precise a cui
ci si dovrebbe attenere, non entrando in classe se ci sono certi sintomi (ma il condizionale è d’obbligo perché le eccezioni ci sono). Nella scuola primaria, poi, viene meno pure l’appiglio delle norme dell’istituto da rispettare e la scelta è demandata ai genitori, fra cui si trovano sia i cauti a oltranza, che fanno saltare le lezioni al primo accenno di raffreddore, sia gli “ottimisti” che sperano in un miglioramento sui banchi: come decidere?
«Se c’è febbre, diarrea, vomito, i sintomi di una malattia esantematica (come un’eruzione cutanea con bolle o vescicole, ndr) o una congiuntivite bisogna restare a casa — risponde Alberto Villani, presidente della Società Italiana di Pediatria e responsabile dell’Unità di Pediatria Generale e Malattie Infettive del Bambino Gesù di Roma —. Naturalmente ci sono differenze: se la febbre non supera i 37,5 gradi e il bambino non mostra grossi segni di malessere, entrare in classe non è un problema. Lo stesso è vero, se c’è stato un singolo episodio di diarrea con feci poco formate. Se però un bimbo ha la febbre a 38, anche tacendo sulla scorrettezza di esporre i compagni al contagio, mandarlo a scuola è un rischio, perché lo si indebolisce ulteriormente e si allunga il periodo di malattia. Lo stesso vale per diarrea e vomito, a meno che l’episodio sia stato solo uno: in questi casi bisogna bere poco e spesso per scongiurare il pericolo di disidratazione, in classe di certo non è possibile e quindi la probabilità di un peggioramento è reale. Il raffreddore — prosegue il pediatra — in genere non è una controindicazione assoluta ma nei più piccini, dove spesso è anticamera di infezioni che poi “scendono” ai bronchi, può essere opportuna la prudenza se il malessere è consistente e il muco giallo-verdastro». Una telefonata al pediatra può aiutare a dirimere la questione, in caso di forti dubbi. Gli stessi che possono venire al momento di rientrare a scuola dopo una malattia: oggi la tendenza è al rientro rapidissimo, ma Villani invita alla prudenza: «A seconda di quanto è stato impegnativo il malessere è bene concedere al bambino un’adeguata convalescenza, fondamentale per la salute. Occorre restare a casa senza sintomi almeno un giorno, ma dopo una broncopolmonite ne possono servire anche tre: un tempo in cui il piccolo possa riposare e magari anche fare una passeggiata all’aperto, ma senza tornare allo stress delle lezioni».
No alla fretta, quindi, soprattutto con i più piccoli: prima dei 5-6 anni il sistema immunitario non è ancora ben sviluppato e si è più indifesi contro i germi, tornare a scuola non ben guariti significa essere più deboli ed esporsi a malattie ricorrenti come le rinosinusiti, in genere conseguenza di raffreddori curati male in cui l’infezione “fuori controllo” si estende ai seni paranasali. «I bambini hanno diritto di fermarsi se non stanno bene, invece oggi anche i più piccoli vivono in corsa fra mille impegni e spesso non dormono abbastanza. Tutto ciò è legato a doppio filo al rischio di ammalarsi, ma i genitori non ne sono consapevoli — osserva Villani —. Dormire a sufficienza, mangiare sano e avere una vita regolare, “da bambini”, è la prima regola perché i figli restino in salute e siano più forti contro le malattie tipiche dell’infanzia: un bimbo che si alza alle 7 del mattino e va a letto dopo le 20 è più fragile di fronte alle malattie infettive e fa più fatica a superarle».
Il sondaggio americano Interpellando quasi 1.500 genitori si è visto che soltanto la diarrea è un sintomo così «dirompente» da convincerli a tenere a casa i figli In caso di dubbio Una telefonata al proprio pediatra può indirizzare meglio la scelta sul rientro