«Il bello delle donne», la fiction diventa metafora della tv statica
La fiction è un terreno sul quale pare approfondirsi la distanza fra Rai e Mediaset. Da almeno vent’anni si tratta di un genere chiave per la televisione generalista, ma ultimamente il gruppo di Cologno sembra aver perso la bussola: con l’inizio dell’anno è partito, con le prime due puntate, «Il bello delle donne… alcuni anni dopo», serie in 8 puntate firmato dalla premiata coppia Tarallo/Losito.
L’esordio non è stato lusinghiero: venerdì 13 gennaio gli spettatori sono stati 3.184.000, per una share del 12,4%. Problema di programmazione? La seconda puntata, in onda giovedì 19, ha raccolto 3.035.000 spettatori, per una share del 12%. Il problema sembra dunque stare in una fiction di rara bruttezza che non solo tenta di riattualizzare un prodotto di oltre un decennio fa (potente metafora della staticità della tv italiana), ma punta su una fascia di audience troppo limitata per un’ammiraglia: è vero che Canale 5 tiene sul pubblico più giovane (e in particolare sui 25-34enni, 14,1% di share), ma la composizione pare troppo squilibrata sulle donne, che raggiungono il 15,2% di share, contro l’8,5% fra gli uomini.
Anche sul piano territoriale, la fiction con l’Arcuri sembra regionalizzare l’ascolto: bene al Sud (26% in Basilicata), male al Centro-Nord (5,7% in Trentino). Quel che più in generale sembra mancare a Mediaset è una linea editoriale sulla fiction, al netto di singoli prodotti che hanno ben funzionato. La Rai ha un compito facilitato dal puntare su una massa di spettatori più anziani (il pubblico, sempre al femminile, che ha seguito «I bastardi di Pizzofalcone»), ma ha tentato ultimamente di rinnovare e differenziare il proprio commissioning (con i casi di «La mafia uccide…» e «Rocco Schiavone»). Il sistema produttivo degli audiovisivi potrebbe ripartire da un ripensamento delle politiche editoriali delle reti. (a.g.) In collaborazione con Massimo Scaglioni
elaborazione Geca Italia su dato Auditel