Renzi: potrei non candidarmi a premier Primarie, poi il voto. Oppure si va al 2018
La cautela alla Camera: legge elettorale, prima le carte della Consulta. D’Alema incontra Vendola
«Ho avuto la possibilità di tirare un calcio di rigore con il referendum del 4 dicembre. Me l’hanno parato... Anzi, sono io che l’ho tirato malissimo. E adesso è cominciata una fase politica diversa». Matteo Renzi ora prova a fare i conti con gli errori. E accenna a rallentare. Spiega: «Se si celebra il congresso si va all’anno prossimo, altrimenti si fanno le primarie. Non ho problemi a fare il congresso». E non esclude anche la possibilità di cedere il passo. «La prossima volta potrebbe toccare a Paolo Gentiloni, o a Graziano Delrio».
A 24 giorni dall’ipotetico approdo della legge elettorale in aula alla Camera, fissato per il 27 febbraio, i partiti decidono di non decidere. E si trincerano dietro «l’attesa per le motivazioni» della sentenza della Consulta (attese tra il 7 e il 9 febbraio) per conquistare un’altra settimana da consumare in mosse tattiche. In un clima che denota scarsa lucidità strategica, e che consente solo la navigazione a vista, ora il Partito democratico decelera e apre sul premio alla coalizione anche alla Camera, il M5S dopo l’anatema di Grillo fa l’ennesima giravolta sui capilista bloccati (sì alla Camera, no al Senato), mentre Forza Italia si compiace che il treno in corsa verso le elezioni subito stia rallentando.
L’appuntamento cruciale della giornata è stato quello dell’Ufficio di presidenza della I commissione (Affari costituzionali), il laboratorio nel quale semmai prenderà forma verrà fecondata la nuova legge elettorale. Ma il calendario veloce stabilito dal partito del voto subito (Pd, M5S, FdI, Lega) è stato smentito dalla mancata perimetrazione degli argomenti da trattare. Invece di delimitare i temi da discutere, è prevalsa la linea del rinvio — caldeggiata da presidente Mazziotti e subito sposata da Scelta civica, centristi e Forza Italia — che si è concretizzata con il rinvio al 9 febbraio per l’inizio dell’esame di tutte le proposte di legge elettorale sul tappeto: Legalicum (M5S), Mattarellum (Pd), Lauricellum (Pd), sistema tedesco (Ala).
La proposta più concreta è dei grillini: «Portiamo al Senato ciò che resta dell’Italicum con il premio di maggioranza al primo partito, la doppia preferenza di genere ma non i capilista bloccati che vanno lasciati alla Camera», ha spiegato Federica Dieni (M5S) aggiungendo che «il Pd sta facendo solo melina». In realtà, fare marcia indietro sui capilista bloccati (accettandoli alla Camera e non al Senato) mette il M5S nella posizione di chi vuole sabotare l’intesa con il Pd prima ancora che si consolidi. Così il partito del «voto subito», alla prima prova parlamentare, si è incagliato con il Pd e il M5S che si rinfacciano di non volere andare al voto. E a Pier Luigi Bersani, favorevole al voto nel 2018 a scadenza naturale, «non sembra probabile» che Renzi prenda il 40% se si vota a giugno.
Emanuele Fiano (Pd), già relatore dell’Italicum e della riforma costituzionale, potrebbe ricevere il mandato di mettere insieme un testo base per avviare quantomeno una discussione di merito: «Il punto di caduta potrebbe essere il premio alla coalizione anche alla Camera, il meccanismo studiato da Lauricella per introdurre un premio al Senato, i capilista bloccati, l’armonizzazione delle soglie». In attesa che tutto questo venga messo
Io non so perché si precipiti il Paese alle urne con sei mesi di anticipo Il 40% se si vota a giugno? Mi sembra improbabile Bersani Mi auguro si vada in Aula il 27 Dovesse saltare l’accordo, significherebbe che non ci si può fidare neanche dei capigruppo Sibilia Faccio un nuovo movimento, un soggetto politico pronto a schierarsi con una lista anche al Senato e alle Comunali Crocetta I capilista bloccati Il passo indietro dei 5 Stelle sui capilista bloccati «salvati» a Montecitorio
nero su bianco, le prime e le seconde linee dei partiti si muovono freneticamente. Massimo D’Alema, che ha suonato la carica ai suoi nel Pd per «tenersi pronti ad ogni evenienza», ha incontrato Nichi Vendola e Nicola Fratoianni suscitando scompiglio nell’area Sinistra Italiana-Sel. In Sicilia, il governatore Rosario Crocetta replica il «Megafono», che diventa «SuperMegafono», e già vede 15 seggi da deputato e uno da senatore. Al centro fa breccia il ministro Carlo Calenda («Con le elezioni a giugno il Paese rischia»): «La sua intervista è condivisibile perché riporta la discussione entro due paletti: le preoccupazioni sulla tenuta del Paese e il modo di affrontare, in questo quadro di pulsioni antisistema, il passaggio delle elezioni», ha detto Lorenzo Dellai di Democrazia solidale.