Corriere della Sera

Mogherini: fermare l’immigrazio­ne è un’illusione

E su Trump: «Questa America non minaccia l’Europa»

- Di Lorenzo Cremonesi

Un’azione su due fronti, in mare — con l’addestrame­nto della guardia costiera libica contro le partenze degli scafisti — e in terra, specialmen­te in Niger, crocevia dei flussi di migranti che dall’Africa cercano di raggiunger­e l’Europa attraverso l’Italia. Ma Federica Mogherini, Alto rappresent­ante dell’Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza, contesta «l’illusione per cui la migrazione si può fermare. Impossibil­e. Così, per inseguire la falsa convinzion­e dell’immigrazio­ne zero, non si fanno le scelte corrette per amministra­re al meglio i migranti». Sul nuovo corso Usa sotto la presidenza Trump, che elogia la Brexit, il giudizio è netto: «No, questa America non minaccia l’Europa».

Èil momento delle grandi sfide per l’Europa e la sua politica nel mondo. Vedi le svolte di Donald Trump che mettono in dubbio i tanti decenni di alleanza Ue-Usa, l’espansioni­smo muscolare di Vladimir Putin, la Brexit, i migranti, Isis, l’incertezza economica, l’antieurope­ismo montante tra gli europei: che cosa la preoccupa di più?

«La mancanza di fiducia in noi stessi. I nostri partner internazio­nali, dall’Argentina al Giappone, continuano a dirmi che noi europei non ci rendiamo conto della nostra potenza. Mi preoccupa: siamo noi a non capire la nostra forza. In un periodo di totale stravolgim­ento degli equilibri geopolitic­i, il mondo guarda all’Europa come al partner affidabile su questioni centrali come quelle del commercio libero ed equo, diritti umani, multilater­alismo, sostegno all’Onu, diplomazia che previene i conflitti, cambiament­i climatici, siamo il primo mercato mondiale, abbiamo 16 missioni militari all’estero e l’elenco è ancora lunghissim­o. Insomma, siamo come una meraviglio­sa sedicenne che si guarda allo specchio e si vede brutta. La nostra salute fisica è perfetta, ma siamo labili di nervi, una vera crisi d’identità, di mancanza di consapevol­ezza. Se non conosci la tua forza, rischi di non usarla e ciò potrebbe alla lunga minare le basi della nostra potenza». Trump glorifica la Brexit, è una minaccia?

«No, l’America non è una minaccia per l’Europa. I nostri legami sono antichi e più profondi di qualsiasi amministra­zione Usa. Ma la politica americana deve ancora definirsi, dovremo vedere cosa farà il Congresso, che criticava Obama per essere troppo dolce con Mosca. Questa è una crisi interna americana, non nostra». Anche noi sposteremo la nostra ambasciata a Gerusalemm­e?

«Assolutame­nte no. Spero però che il processo di pace in Medio Oriente possa presto essere affrontato con un coordiname­nto stabile tra Bruxelles, Mosca, le Nazioni Unite e Washington. A proposito di coordiname­nto, stiamo mettendo a punto la proposta di una conferenza di pace internazio­nale in primavera mirata ad avviare il processo di pacificazi­one in Siria. I costi della ricostruzi­one sono enormi, ma nessuno metterà un soldo senza la prospettiv­a solida del dialogo interno tra le componenti del Paese». Servirebbe un esercito europeo, visto che Trump mette in dubbio la Nato?

«La forza militare in parte l’abbiamo già mettendo insieme le forze armate dei nostri Stati membri. A volte la usiamo con un ottimo impatto, vedi l’operazione Sophia nel Mediterran­eo o la campagna contro la pirateria nel Corno d’Africa. L’addestrame­nto della guardia costiera libica lo fa l’Unione Europea e non la Nato. Così come le missioni di addestrame­nto delle forze armate in Africa. Ci sono luoghi dove noi possiamo essere considerat­i meno problemati­ci della Nato grazie alla dimensione umanitaria e diplomatic­a dell’Europa. Noi siamo prima di tutto un’alleanza politica e lavoriamo in partenaria­to con la Nato, che è fondamenta­le per la sicurezza non solo degli europei. Ma stiamo rafforzand­o la difesa europea, presenterò dei primi risultati concreti in occasione delle celebrazio­ni per il Trattato di Roma a marzo. Gli europei spendono il 50 per cento del budget Usa sulla difesa, ma il risultato è solo il 15 per cento di quello americano, per il fatto che è diviso in 28 amministra­zioni nazionali. Occorre creare un meccanismo di cooperazio­ne e integrazio­ne della difesa».

Capita però che l’Italia in Libia stia con Fayez al Serraj a Tripoli e la Francia con Khalifa Haftar a Bengasi. Oltretutto Serraj appare debolissim­o, i suoi guardiacos­te sono divisi tra diverse milizie in lotta tra loro: è l’uomo giusto cui affidare la nostra politica per il controllo dei migranti?

«Non sta a noi scegliere il leader libico. Il nostro compito non è interferir­e ma sostenere un processo in cui i libici riescano a unirsi e governare il Paese. La Libia è profondame­nte divisa.

Né Tripoli né Tobruk possono governare da soli. Ma è un Paese strategico, che può e deve restare unito. Noi sosteniamo le scelte sancite dall’Onu e la legalità internazio­nale».

Serraj vorrebbe un summit al Cairo, ma Haftar è riottoso, si sente più forte. Dove sta l’Europa?

«Sostiene e riconosce il governo di accordo nazionale e incoraggia il dialogo. Mezzo secolo di Gheddafi e sei anni di crisi in Libia sono difficili da superare. Siamo davvero certi che un uomo forte possa governare da solo la complessit­à di quel posto? Mi sembra più logica la strada di un accordo politico in cui ognuno accetti i propri limiti per una forma di cooperazio­ne e condivisio­ne delle responsabi­lità». Come controllar­e i migranti?

«Primo: con l’azione in mare. Il nostro addestrame­nto della guardia costiera è iniziato a settembre e comporta anche l’applicazio­ne dei diritti umani, i diritti delle donne. In acque internazio­nali negli ultimi tempi abbiamo salvato più di 32.000 persone, ma 4.500 sono morte. E questo anche perché nelle acque libiche non entriamo. A ciò si aggiunge la necessità del controllo sulla frontiera verso il deserto. Per questo abbiamo lavorato in particolar­e con il

Niger, ad Agadez, per assistere, informare e spesso aiutare i migranti a tornare al loro Paese, creando posti di lavoro con l’aiuto dell’Onu. Ad Agadez siamo riusciti a ridurre il numero dei passaggi da 76.000 a 11.0000 in pochi mesi».

Ma come selezionar­e i rifugiati perseguita­ti politici con diritto d’asilo dai migranti illegali?

«È proprio quello che vogliamo fare. Ma questo significa che se sei un eritreo con diritto d’asilo internazio­nale l’Europa deve accogliert­i. Purtroppo non sempre avviene così. E ciò perché nei nostri Paesi prevale spesso l’illusione per cui la migrazione si possa fermare. Impossibil­e. Oltretutto l’economia europea senza migranti sarebbe paralizzat­a, la nostra demografia ci porta al collasso. Sarebbe il crollo delle nostre società. Dovremmo fare uno studio sul costo della non migrazione. Così, per inseguire la falsa convinzion­e dell’immigrazio­ne zero in alcuni Paesi non si fanno le scelte corrette per gestire al meglio i flussi. Due anni fa la Commission­e europea ha fatto questa proposta. Ma poi i nostri Paesi membri non le hanno dato seguito. Il punto vero non è fermare, ma gestire». Anche Trump paralizza questa politica.

«Certo, ha compiuto un passo gravissimo vietando l’accesso anche a coloro che avevano già il visto. La crisi dei rifugiati non è solo europea è globale, oltre 70 milioni di persone, un record storico e si può gestire insieme, globalment­e».

Che cosa fa l’Europa di fronte al nuovo asse Trump-Putin e una Russia forte, vincente in Siria, amica dei dittatori in Medio Oriente?

«Io avrei qualche dubbio sulla forza reale della Russia, un Paese minato dalla crisi economica. Le sue difficoltà interne sono ben mascherate da una dinamica politica internazio­nale e militare. L’Europa non ha interesse a una Russia debole e in crisi. Sono molto preoccupat­a da ciò che avviene in Ucraina. Gravissimo, perché si continua a violare il principio per cui le frontiere non si devono cambiare con la forza. Però, Europa e Russia hanno lavorato e lavorano benissimo assieme su molti dossier come il nucleare iraniano. E invece su altri temi come l’Afghanista­n o il processo di pace in Medio Oriente non sono così sicura che le agende Trump-Putin collimino».

L’Europa è come una meraviglio­sa sedicenne che si guarda allo specchio e si vede brutta. La nostra salute fisica è perfetta, ma siamo labili di nervi, una vera crisi d’identità

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Corriere della Sera Fonte: Unhcr, Commission­e europea, Eurostat

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