Corriere della Sera

«Premio alla coalizione, non alla lista»

Il titolare della Cultura: nel centrodest­ra serve un’area moderata non vincolata dalla Lega

- Di Francesco Verderami

Il ministro della Cultura Dario Franceschi­ni propone le «primarie» per evitare la scissione nel Pd. E vede nel «premio di maggioranz­a alla coalizione e non più alla lista» il punto di mediazione con Forza Italia e Ncd sulla legge elettorale, «che potrebbe essere l’ultimo atto della legislatur­a».

Un tempo sarebbe bastato poco per delineare il perimetro di una mediazione politica. Da un lato offrendo ai centristi e a Berlusconi un cambio della legge elettorale, «spostando il premio di maggioranz­a alla coalizione e non più alla lista», così da chiudere l’intesa bipartisan in Parlamento. Dall’altro garantendo «le primarie di coalizione» alla minoranza del Pd, per evitare la scissione del partito e aggregare un pezzo di sinistra che vuol fare parte del progetto riformista. In fondo è questo ciò che propone Franceschi­ni: a Berlusconi e Alfano, a Bersani e Pisapia.

Ma i tempi sono cambiati, e il ministro della Cultura sente il dovere di un richiamo all’urgenza prima di addentrars­i nei dettagli: «Siamo dentro una bufera che colpisce l’intero Occidente, con il populismo che cavalca le paure della gente, con le prossime elezioni in Germania e soprattutt­o in Francia dall’esito incerto, con un dibattito aperto sui destini dell’Unione dopo la Brexit, con il Paese gravato da sacche di povertà e disoccupaz­ione. C’è quindi la necessità — ognuno per la propria parte — di trovare soluzione ai problemi, evitando di crearne ulteriori».

Di problemi il Pd ne ha creati tanti, immerso com’è in un eterno congresso.

«Partirei da Camera e Senato, dove i parlamenta­ri di maggioranz­a vanno ringraziat­i per come hanno lavorato, con una compattezz­a e una produttivi­tà che ha pochi precedenti. L’impegno è portare avanti le riforme varate dal governo Renzi e sostenere convintame­nte il governo Gentiloni. Frantumare il campo riformista aumentereb­be le possibilit­à di vittoria di trumpisti e lepenisti: sarebbe un errore mortale». Colpa di Renzi se siete arrivati a questo punto?

«Quando qualcosa non funziona le responsabi­lità sono della maggioranz­a e della minoranza. Quindi anche mie».

Dall’era della rottamazio­ne si è passati all’era della restaurazi­one: sono tornati Prodi, D’Alema, l’Ulivo...

«Un conto è il giusto ricambio dei gruppi dirigenti, altra cosa è la capacità di essere inschieram­enti

Un conto è il giusto ricambio dei gruppi dirigenti, altra cosa è la capacità di essere inclusivi, specie davanti ai rischi che stiamo correndo L’ipotesi voto Un’intesa larga sulla legge elettorale può essere l’ultimo atto della legislatur­a

clusivi, specie davanti ai rischi che stiamo correndo. Abbiamo impiegato vent’anni per fare il Pd. Vent’anni di storie politiche e percorsi personali a volte difficili: si può disperdere un simile patrimonio? Perciò quando sento parlare di scissione penso che la sciagura vada evitata».

Quando in un partito s’inizia a parlare di scissione, di solito la scissione si verifica.

«C’è un percorso che può scongiurar­la. Dopo la vittoria del No al referendum costituzio­nale, il sistema politico è entrato in una fase nuova: rispetto agli anni in cui il bipolarism­o tendeva al bipartitis­mo, ora — con un sistema proporzion­ale — bisogna perimetrar­e il campo riformista per non disperderl­o. Lo si può fare con l’azione politica e anche modificand­o in pochi punti la legge elettorale emersa dalla sentenza della Consulta. A mio avviso il premio di maggioranz­a andrebbe assegnato alla coalizione, alla Camera e al Senato, rispettand­o i dettami costituzio­nali: così si avrebbe negli

una corretta articolazi­one delle posizioni».

Parla a Bersani perché anche Alfano e Berlusconi sentano, visto che entrambi mirano proprio a questa modifica della legge elettorale.

«L’accordo in Parlamento deve essere il più largo possibile e deve contemplar­e ovviamente la collaboraz­ione delle forze di opposizion­e. Nel centrodest­ra è interesse di tutto il Paese che ci sia un’area moderata non vincolata alle posizioni estreme di Salvini. Nel campo riformista c’è un’area di centro che ha collaborat­o con i governi di Letta e Renzi, e ora collabora con quello di Gentiloni: sarebbe strano se dopo cinque anni ci candidassi­mo su fronti contrappos­ti. C’è infine uno spazio a sinistra del Pd che può essere parte del processo: penso all’operazione di Pisapia. Per tenere insieme questa aggregazio­ne, servirebbe­ro le primarie di coalizione. Peraltro non bisognereb­be inventarsi nulla: è lo stesso percorso che portò alla sfida per la premiershi­p tra Bersani e Renzi. Il 13 febbraio la direzione del Pd non avrebbe che da applicare quelle regole».

A che servono le primarie per il candidato premier, se nella prossima legislatur­a si prospetta un governo di larghe intese? In quel caso il nome del presidente del Consiglio uscirebbe da una mediazione tra forze politiche diverse in Parlamento. «Intanto coalizioni di questo tipo possono puntare al

40%. Altrimenti, come accade in altri Paesi, è il partito arrivato primo a esprimere il nome del premier». Renzi è d’accordo su questa linea di mediazione?

«Registro l’apertura alle primarie, che sono logicament­e collegate al premio di coalizione. La competizio­ne diverrebbe uno strumento unificante, con candidati del centro, del Pd e della sinistra. E siccome sappiamo già che il prossimo sarà un governo di coalizione, le modifiche al sistema di voto assegnereb­bero la scelta dei parlamenta­ri agli elettori».

A quel punto quando si aprirebber­o le urne? Il ministro Calenda sostiene che sarebbe pericoloso per il Paese andare al voto in giugno.

«In corso d’opera bisognerà verificare le condizioni politiche. È chiaro che se ci fosse un accordo sulla legge elettorale non ci sarebbe il rischio di perdite di tempo in Parlamento. A quel punto l’approvazio­ne della riforma potrebbe anche essere l’ultimo atto della legislatur­a. Ma questa scelta sarà nelle mani del capo dello Stato, che — sentiti i partiti — saprà scegliere il momento migliore per il Paese».

È più facile che la sua Spal vinca lo scudetto, rispetto all’ipotesi che si chiuda un’intesa tra Renzi, Bersani, Berlusconi, Alfano...

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