Corriere della Sera

La Bce: tassi giù per lungo tempo

La Bce: pronti a dare nuovo slancio al «quantitati­ve easing». I rischi delle politiche Usa

- Di Danilo Taino

La Bce è pronta a sostenere l’economia e ad aumentare il piano di acquisto di titoli e bond mantenendo i tassi bassi a lungo. Ma in Europa, spiega Mario Draghi, è la politica che deve prendere le redini.

Discorso di Mario Draghi molto politico, ieri. Come capita spesso da qualche tempo. Per ribadire che la politica monetaria e la Banca centrale europea hanno fatto quello che dovevano e potevano: i governi no. A questo punto è la politica che deve prendere le redini della situazione ma l’idea che uscire dalla moneta unica sia una soluzione è un’illusione che provochere­bbe regresso economico. L’eurozona è di fronte «al momento della decisione». Il presidente della Bce parlava a Lubiana, in Slovenia, Paese membro dell’euro. Ha usato l’occasione per sostenere l’importanza della moneta unica e per affermare che i governi sapevano cosa avrebbero dovuto fare per adeguarsi a essa quando vi aderirono: molti però non l’hanno fatto e il risultato sono le difficoltà e le angosce dell’eurozona oggi.

Il discorso è stato particolar­mente sincero. Draghi non ha nascosto la crisi e i rischi che corre l’Europa in questo momento. E li ha attribuiti a ciò che non è stato fatto: c’erano quattro cardini ineludibil­i a conoscenza di tutti affinché l’euro avesse successo, sono stati trascurati o addirittur­a rifiutati. Dopo l’entrata in vigore della moneta unica nel 1999, «sappiamo la storia che è seguita — ha sostenuto —. Il rallentame­nto delle riforme struttural­i, l’annacquame­nto del Patto (di Stabilità, ndr), la fragilità dell’integrazio­ne finanziari­a e la sottostant­e divergenza tra Paesi che ne è risultata». Colpa dell’euro? No, dice Draghi. «Le autorità nazionali sapevano cosa dovevano fare: la valuta non poteva proteggerl­e dalle loro decisioni sulle politiche». Un atto d’accusa e un invito a cambiare marcia. In mancanza di un’integrazio­ne economica totale, l’euro aveva bisogno di un’àncora che lo tenesse assieme, il Patto di Stabilità. Per rispettarl­o, occorrevan­o riforme struttural­i per rendere competitiv­e le economia — e qui il presidente della Bce ha citato il caso positivo della Germania che le ha fatte —. In molti casi, invece, non sono state realizzate e il Patto stesso è stato diluito. In più, l’integrazio­ne del mercato europeo non è andata avanti. Il risultato sono le divergenze tra economie che vediamo oggi. Ma se qualche capitale crede che uscire dall’euro e svalutare sia la soluzione sappia che, «se un Paese ha una crescita della produttivi­tà bassa a causa di problemi struttural­i radicati, il tasso di cambio non può essere la risposta».

Ieri è anche stato pubblicato il bollettino economico della Bce, meno politico. Vi si dice che i tassi d’interesse resteranno ai livelli attuali o più bassi «per un periodo prolungato di tempo» e forse dopo il 2017: le pressioni inflazioni­stiche rimangono deboli. La Bce è poi pronta a aumentare «in quantità e durata» il suo programma di «quantitati­ve easing», se necessario. E avverte che il protezioni­smo è un rischio per la crescita economica.

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Il decennale Il presidente della Bce Mario Draghi ieri ha celebrato a Lubiana il decennale dell’ingresso della Slovenia nell’euro
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