Corriere della Sera

Il leader cambia tattica e rispolvera il caminetto con tutti i big

- Di Maria Teresa Meli

Matteo Renzi prova a cambiare tattica di gioco. «La minoranza vuole fare un congresso? Per me va anche bene. Contiamoci se è questo quello che vogliono», spiega ai suoi il segretario.

Dunque, ok anche alle assise, «se è questo che vuole il partito», come ribadirà a sera al Tg1. Ma ciò non significa che il segretario abbia cambiato i suoi obiettivi: «Io credo ancora che alle fine le elezioni saranno a giugno», dice il leader del Pd ai collaborat­ori. E in questo è confortato dai sondaggi della Swg che sono giunti da poco sulla sua scrivania. Secondo queste rilevazion­i il 55 per cento degli italiani ritiene che occorra andare al voto il prima possibile. Sempre secondo gli stessi sondaggi, che hanno molto rassicurat­o il segretario del Pd, una formazione sponsorizz­ata da D’Alema oscillereb­be tra il 2 e il 4 per cento.

Muta la tattica, non la strategia, quindi. Renzi la spiega così: «Adottiamo lo schema Bearzot. Ripartiamo da fondocampo, giochiamo di rimessa, lasciamo andare avanti gli altri, per poi andare in contropied­e». Per questa ragione quella del 13 febbraio non sarà una direzione da resa dei conti, e nemmeno decisiva. Il leader concerterà l’iter con i big delle diverse componenti del Pd, per

Tra primarie e congresso L’idea di concertare l’iter nel Pd con i «capi» delle diverse componenti: «La minoranza vuole il congresso? Per me va anche bene»

dimostrare che non vuole decidere tutto da solo: «Deve essere il partito a valutare che cosa è più utile per il Paese, se elezioni a giugno o a febbraio. Nel primo caso faremo le primarie, nel secondo il congresso. Non dovete far contento me, decida il partito con tutti i leader. Sediamoci attorno a un tavolo e decidiamo. A quel punto tutto il gruppo dirigente, nessuno escluso, indicherà la strada e questo vincolerà tutti, perché non è che chi perde le primarie o il congresso poi fa la scissione». Si torna quindi a una logica molto simile a quella del «caminetto» di antica memoria.

«Non voglio dividere il partito ma unirlo», spiega il segretario ai suoi. Per questo motivo Renzi ha tirato fuori l’ipotesi delle primarie l’altro ieri, quindi ha aperto anche al congresso e, poi, ha fatto «un’apertura di sostanza sulla legge elettorale». Si torna perciò a parlare dell’ipotesi del premio di coalizione sul quale, oltre ai bersaniani, convergono anche Nuovo centrodest­ra e Forza Italia (c’è chi accredita già dei contatti in corso tra Pd e FI). Quanto alla questione dei capilista bloccati, su quella la maggioranz­a non transige. E i renziani spiegano che, benché Grillo abbia detto di non volerli, alla fine passeranno in Parlamento. Forza Italia infatti è pronta a votarli, lo stesso dicasi per il Nuovo centrodest­ra e, malignano nel Pd, sotto sotto questa norma sta bene anche al leader dei Cinque Stelle.

Ora il segretario attende le mosse della minoranza. Se saranno primarie c’è gia una data: quella del 26 marzo. Certo, il leader ancora non si fida dei suoi interlocut­ori bersaniani: «Dopo questo, voglio vedere quale sarà il prossimo punto. Se continuano a darmi addosso sapete che c’è? Me ne vado a sciare», scherza con i suoi.

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