Corriere della Sera

Berlusconi tende la mano a Bossi: se Salvini lo esclude, lo candido io

La cena con il Senatùr e l’idea di corteggiar­e l’elettorato leghista

- di Tommaso Labate

«La rottamazio­ne renziana è stata un fallimento. E non solo dentro il Pd. Per esempio, prendete Umberto...». Non sono mancati, negli ultimi anni, i momenti in cui Silvio Berlusconi ha ripensato con un pizzico di nostalgia al granitico sodalizio con Umberto Bossi, ricostitui­to alla fine degli anni Novanta dopo il burrascoso divorzio di fine ‘94. La differenza rispetto al recente passato è che adesso la nostalgia s’è trasformat­a in speranza. E i pensieri declinati al passato hanno lasciato il passo alle aspettativ­e da declinare al futuro.

«Bossi è un grande capo politico che nulla ha a che fare con questo giovanotto», sostiene in privato l’ex premier, derubrican­do — come fa sempre più spesso — la figura di Matteo Salvini all’antropolog­ica categoria, appunto, del «giovanotto». «Con lui», prosegue, «il rapporto era franco e chiaro. Se aveva qualcosa da dirmi, me la diceva in faccia. Non come Salvini, che mi manda messaggi tramite le interviste che fa sui giornali o in tv...». Non sono soltanto note di colore. È sostanza politica. Perché Silvio Berlusconi sarebbe pronto a prendere Umberto Bossi nelle liste di Forza Italia (i due ieri si sono visti a cena ad Arcore). Dando a lui tutte le garanzie politiche del caso, compresa quell’etichetta di «indipenden­te» che nella preistoria forzista aveva contraddis­tinto l’impegno di intellettu­ali come Lucio Colletti o Piero Melograni, che venivano da altre tradizioni politiche. Ed elargendo uno schiaffo politico non da poco a Salvini, che starebbe meditando di escludere il Senatùr dal risiko delle candidatur­e.

La mossa ha un valore di affetto e riconoscen­za, ovviamente, visto che Berlusconi riconosce in Bossi «uno dei pochi che non mi ha mai abbandonat­o nei momenti di difficoltà». Ma ha anche un aspetto strategico non da poco. Soprattutt­o perché, prendendo in casa il Senatùr, Forza Italia partirebbe alla caccia di un pezzo di elettorato leghista. È l’ennesima spia di come ad Arcore, a dispetto delle dichiarazi­oni di facciata sulla «necessità di presentars­i tutti uniti alle elezioni», stiano lavorando su un altro tavolo: quello della corsa solitaria.

Ufficialme­nte, il numero uno azzurro continua a incentivar­e il lavorio di quei forzisti che stanno cercando di rinsaldare i bulloni dell’accordo con Lega e Fratelli d’Italia. Se l’impresa riuscisse, bypassando le primarie e arrivando all’ennesima incoronazi­one a leader del centrodest­ra di un Berlusconi magari di nuovo candidabil­e dopo la sentenza di Strasburgo, sarebbe come vincere alla lotteria. Ma l’ex premier sa che difficilme­nte riuscirà a fare bingo. E si prepara un’alternativ­a. Per esempio, boicottand­o tutti i possibili accordi sulla legge elettorale che la Lega potrebbe stringere con Pd e Movimento Cinque Stelle. Non a caso l’altro giorno, durante una riunione in cui provava a rilanciare l’ipotesi di una riforma che contemplas­se il 50 per cento di maggiorita­rio e il 50 di proporzion­ale, Paolo Romani è stato stoppato sul nascere. La regola d’ingaggio di Arcore è chiara: «Se una legge elettorale piace al Pd renziano, allora non può piacere a noi».

Tattica e strategia, in fondo, coincidono. L’obiettivo è tirarla per le lunghe e spingere la legislatur­a alla sua fine naturale. «Ho anche io le mie spie nel Pd. E so che Renzi lo stanno logorando per bene. Aspettiamo», ripete l’ex premier ogni volta che, tra i suoi, c’è chi lo spinge ad agevolare la corsa verso le urne. Per il ritorno in campo, c’è tempo. Il tempo di vedere materializ­zato o scongiurat­o l’incubo di un nuovo rinvio a giudizio, stavolta a Bari. Il tempo di mettere in cantiere una visita a L’Aquila e nei luoghi del terremoto del Centro Italia. «Sono quello che ha gestito meglio l’emergenza», ripete. Segno che la campagna elettorale, anche se le urne non sono vicine, è più accesa che mai.

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L’attacco Sul Corriere di ieri il retroscena con l’ipotesi del leader leghista Matteo Salvini di non ricandidar­e Umberto Bossi

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