«Mio figlio vittima di bulli per 3 anni, la scuola non ci credeva»
In un istituto comprensivo di Rho, nel Milanese. Quattro ragazzi indagati dalla Procura per i minori
«Figlio di p...». «Fr... di m...». «Ci fai schifo». «Devi morire». Quando non erano le parole, erano i fatti: schiaffi in faccia, pugni sulla testa, calci sulla schiena. A volte non insultavano né picchiavano ma rubavano e devastavano. Capitava ad esempio con gli occhiali da vista, presi e schiacciati sotto i piedi. O con maglione e cartella, arraffati e strappati. Erano 3 anni che andava avanti così. Dalla prima alla terza media di un istituto comprensivo di Rho, la classe oggi frequentata dai quattro aguzzini e dalla vittima.
Dopo la denuncia della mamma, gli accertamenti del In elicottero La figlia di Spasari e Antonio Gallone nella piazza di Nicotera commissariato di Rho-Pero hanno confermato le violenze. Gli atti sono stati trasmessi alla Procura per i minorenni. E anche se qualcuno sarebbe ancora 13enne (dunque non imputabile), la Procura li ha ugualmente indagati senza distinzione e senza eccezioni. L’ha fatto, probabilmente, scegliendo una strada «più forte» e magari non usuale, proprio in relazione al discorso dell’età, per poter chiedere al giudice provvedimenti «particolari». Ed esemplari. La gravità di quanto successo è amplificata dalla durata e dal fatto che gli insegnanti non si siano accorti di niente. O forse, in verità, s’erano accorti soltanto che «hanno sottovalutato e hanno pensato che mio figlio e io ci stessimo inventando delle scuse per motivare le numerose assenze da scuola». Agli investigatori guidati da Carmine Gallo, la mamma del ragazzino preda dei bulli l’ha ripetuto: non voleva tornare in istituto per paura e allora lei lo teneva a casa. Una paura che nel tempo gli ha tolto il sonno; non riusciva a opporsi, da solo com’era contro i tanti; subiva, in silenzio e piangendo, anche perché gli altri compagni vedevano, sapevano e fondamentalmente si «godevano» le scene, evicomunque tando di intervenire e pure d’invocare l’aiuto dei professori. A proposito: «Un giorno — ha raccontato la madre — un docente mi ha consigliato di fargli seguire un corso di autostima, evidentemente convinto che avesse problemi a relazionarsi con i coetanei, insomma che la colpa fosse sua... Un altro giorno, dalla scuola m’hanno risposto che non c’era nulla di anomalo, addirittura era una specie di passaggio del percorso di crescita del gruppo...».
In attesa della replica dell’istituto comprensivo di Rho, cinquantamila abitanti subito a nordovest di Milano, sembra non siano stati adottati provvedimenti contro gli aguzzini. Che avevano (hanno) una particolare ossessione per bestemmie e volgarità varie. Armati di pennarelli indelebili, vergavano gli insulti e le minacce sia sul banco e la sedia, sia sugli stessi suoi vestiti con puntuali, perenni espliciti riferimenti al sesso. I quattro sono accusati di atti persecutori. L’agonia subita, va da sé, sconfinava spesso dalla classe: lo inseguivano per i corridoi e in cortile, prendendolo in giro e ridendo insieme alle sue spalle.