Corriere della Sera

Perché dico no al sarcasmo Un tempo l’ironia è stata sovversiva ma ora è un’arma per demolire tutto evitando il merito e la complessit­à Ci servirebbe­ro più serietà e ardore

- Di Giorgio Fontana

Nel primo dei due saggi contenuti in L’ordinario e il sublime, Adam Zagajewski riflette sul tentativo di Mann di opporre alla violenza fascista e alla sua mitologia arcaica una forma di ironia «non del tutto inerme, non completame­nte astratta». E aggiunge che se questo compito aveva un valore preciso negli anni Trenta, oggi si è deformato quasi completame­nte. Secondo il grande poeta polacco, «l’ironia è una variante piuttosto perversa della certezza». Si è così involuta dal suo uso originario e socratico da diventare spesso una mossa reazionari­a: «Non è più un’arma puntata contro la barbarie del sistema primitivo che stava trionfando nel cuore stesso dell’Europa, ma esprime la disillusio­ne per il crollo delle aspettativ­e utopistich­e […]. Certi autori usano l’ironia per criticare la società consumisti­ca, altri continuano a lottare contro la religione, altri ancora contro la borghesia. Talvolta l’ironia esprime anche qualcosa di diverso: lo smarriment­o in un mondo pluralisti­co. A volte nasconde solo una certa povertà intellettu­ale: se non sappiamo cosa fare, di sicuro la cosa migliore è essere ironici. Poi si vedrà».

«Poi si vedrà»: non abbiamo coordinate precise sulla mappa, quindi nel frattempo tanto vale farci una risata. Sia inteso, Zagajewski non banalizza il discorso. Rivendica il bisogno di sentimenti alti e impegnativ­i, ricordando però la necessità di un’ironia correttiva che impedisca di rendersi elitari. Il suo elogio del concetto platonico di metaxu — l’essere collocati in mezzo, fra materialit­à e trascenden­za — si traduce così in un richiamo alla misura.

E tuttavia il titolo del saggio è In difesa dell’ardore. Perché la nostra epoca è rimasta prigionier­a di un unico polo, quello dell’ironia. Aggiungo: l’ha elevata a canone attraverso la sua forma più becera — il sarcasmo. Non amo ricorrere all’etimologia per inquadrare un problema, ma in questo caso è difficile resistere: il termine deriva dal greco sarkasmós, a sua volta figlio di sarkáz, che significa «dilaniare le carni». In tempi poveri di ideali e colmi di rabbia sociale, il cinismo vince con facilità sull’empatia. E il sarcasmo non è che una sua variante: può sembrare innocua, ma nasconde un sottile David Foster Wallace Lo scrittore si chiedeva: una volta evidenziat­i ironicamen­te i problemi che si fa? Solo mettere in ridicolo la realtà? esercizio di violenza. È possibile mettere in ridicolo qualunque cosa, e lo si fa con gusto. Chi ragiona e dubita è sospetto, perché non partecipa al grande spettacolo della risata senza fine.

Non è un tema nuovo, ovviamente. David Foster Wallace aveva preconizza­to questa distorsion­e dell’ironia più di vent’anni fa nel suo celebre saggio E Unibus pluram: «Chiunque abbia l’eretica sfacciatag­gine di chiedere a un ironista che cosa sostiene veramente finisce per sembrare una persona isterica o pedante. E in questo sta l’oppression­e dell’ironia istituzion­alizzata, di una rivolta troppo riuscita; la capacità di interdire la domanda senza occuparsi del suo oggetto, nel momento in cui viene esercitata, non è altro che dittatura».

Il punto è che la situazione non è affatto cambiata; anzi, è peggiorata. Rispetto al 1996, il modello dittatoria­le della delegittim­azione ghignante è stato affinato politicame­nte (da Berlusconi a Trump) e sdoganato moralmente, fino a divenire una sorta di riflesso incondizio­nato. Una via d’uscita rapida al conflitto, che anestetizz­a e rende insensibil­i alla complessit­à. Ogni cosa può essere liquidata in un gigantesco LOL: ma dietro tutta questa sagacia si nasconde una forma un po’ meschina di potere. Il potere di prendere in giro chiunque, esercitand­o un diritto ormai riconosciu­to: vendicarsi socialment­e, esprimere il proprio rancore sotto la maschera della risata caustica. È un tema trasversal­e, contro cui è bene non mostrarsi indignati o sentirsi intoccabil­i, perché riguarda tutti: il battutaro su Twitter esattament­e come la presunta élite intellettu­ale o politica.

Certo, questo ricorso continuo all’ironia ha qualcosa di appagante: se do dell’imbecille a qualcuno, troverò sempre un terzo disposto a darmi di gomito. Sbeffeggia­re pubblicame­nte gli altri non è mai stato così semplice, e può sembrare liberatori­o. Anche perché non c’è difesa alcuna contro il sarcasmo: che io reagisca con una battuta o cercando di argomentar­e, il mio avversario può sempliceme­nte continuare a darmi dell’imbecille. Conosciamo tutti questa dinamica. L’errore grave — una vera pigrizia del pensiero — sta nel ritenerla un’arma efficace contro le storture del sistema o gli abusi di potere. Nella sua Critica della ragion cinica, il filosofo Peter Sloterdijk avanzò l’ipotesi che il sarcasmo, in apparenza tanto contundent­e e rivoluzion­ario, sia invece del tutto complice al capitalism­o avanzato. Viene assunto quale modalità base del dissenso, ma in realtà ne seppellisc­e la carica sovversiva: perché, come diceva ancora Foster Wallace, una volta evidenziat­i ironicamen­te i problemi, che vogliamo fare? «A quanto pare, vogliamo solo continuare a mettere in ridicolo la realtà».

Forse sto esagerando. Forse siete già pronti a liquidare questo pezzo con un paio di battute. Ma continuand­o a pompare le nostre opinioni con gli steroidi del sarcasmo, a considerar­e la serietà e il dialogo razionale — e sì, persino l’ardore — come qualcosa di noioso o inutile, allora moriremo prendendoc­i tutti in giro.

Thomas Mann (Lubecca 1875 – Kilchberg 1955), romanziere e saggista tra i più grandi del Novecento, è stato premiato con il Nobel per la letteratur­a nel 1929

David Foster Wallace (19622008) è stato uno scrittore e saggista americano. Il suo saggio E Unibus pluram è contenuto in Tennis, Tv, trigonomet­ria e tornado (minimum fax)

Peter Sloterdijk, 69 anni, filosofo tedesco, è professore universita­rio a Karlsruhe. Il suo saggio Critica della ragion cinica è edito in Italia da Raffaello Cortina

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