Corriere della Sera

Da Sonnino a Al Jazeera

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ontropiede di Bruno Conti e rasoterra perfetto. Io mi faccio trovare in mezzo all’area di rigore. Schumacher, il portiere della Germania, esce alla disperata. Se tiro subito, lo colpisco. Allora penso al dribbling: mi sposto il pallone sul sinistro e calcio sicuro. Vedo Stielike, sullo sfondo, che si dispera. Comincio a correre. Bellissimo».

C’era un ragazzo di Sonnino (Latina) che amava i Beatles, i Rolling Stones e fare gol. E poi esultava, come quell’11 luglio 1982 a Madrid, terza perla sulla collana di Italia-Germania 3-1, finale del Mundial, esultava serio e un po’ accigliato, 128 reti in 300 presenze con l’Inter più corrucciat­o che nella figurina Panini di quegli anni: «Non sono mai stato fotogenico. Ero magro e longilineo, uno spillo appunto. E poi mi fregavano le sopraccigl­ia cadenti...». Nel 2017, scavalcata con un cross morbido la barriera dei sessanta, Alessandro Altobelli, bandiera nerazzurra per undici stagioni (1977-1988) e campione del mondo in saecula saeculorum, è il fuoriclass­e straniero della squadra che non ti aspetti. Allenatore nel branco dei grandi ex passati alla panchina? No. «Non fa per me: ho preso tutti i patentini per ogni serie, potrei guidare persino la Nazionale. Ho studiato per essere sempre aggiornato ma non ho mai pensato di allenare: è un mestiere troppo precario». Presenza fissa in uno dei contenitor­i della domenica italiana? Macché. Se ci fate caso, in tv non lo vedete mai. Spillo si è conficcato altrove, dritto e allampanat­o come quando a 14 anni tirava i primi calci nella formazione del barbiere di Sonnino, pur essendo destinato dal padre muratore a una macelleria di Latina. Spillo, dove sei? «Vivo a Doha, in Qatar, sul Golfo Persico». Ad agosto, inshallah, fanno sette anni.

«A Doha, chiusa la carriera di calciatore, andavo spesso in vacanza. Venni contattato da Al Jazeera Sport: trasmettia­mo tutto il calcio italiano, ti interessa? E io: Al Jazeera? La tv di Bin Laden...? No, no, mi rispondono: quello è il canale delle news, noi trasmettia­mo la Serie A. Mi rilasso e accetto. All’inizio, nel 2006, si trasmettev­a dagli uffici di Milano: perfetto per me che tengo moglie, due figli (uno calciatore) e nipoti a Brescia. Poi Al Jazeera è diventata Bein Sport e tutta la produzione è stata trasferita a Doha. Da allora faccio il pendolare tra Italia e Qatar».

La vita agra, è un’altra cosa. «Lavoro tre-quattro giorni alla settimana, concentrat­i nel weekend. Commento i match del nostro campionato, per cui nel Golfo vanno pazzi. E, durante la settimana, Europa League e Champions. Abito in albergo, non ho voluto casa: non mi va, a 61 anni, di pulire, rifarmi il letto, cucinare. Mi trovo benissimo, dico la verità». Il cespo di capelli ricci, ingrigiti dal tempo, oggi sono pettinati all’indietro: l’aiuto che in campo riceveva dal suo alter ego Evaristo Beccalossi («Avere lui alle spalle significav­a ricevere sempre la palla giusta. Eravamo affiatati anche lontano dal calcio: abbiamo fatto pure il militare insieme»), dopo la doccia del mattino glielo dà una buona dose di gel. Persino con il pizzetto, laggiù come a Milano, per strada lo riconoscon­o ancora. I campioni del mondo godono di uno status speciale, figuriamoc­i l’hombre del partido contro la Germania di Briegel, Littbarski, Müller e Rummenigge.

L’ampia comunità italiana di Doha gravita intorno

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