Corriere della Sera

Digitale a scuola anti dislessia Quando l’aiuto diventa un limite?

Tecnologia alleata dell’apprendime­nto. Ma c’è chi frena: ogni caso è diverso

- Simone Fanti

sate Drofando Artivicial­nete Buelo Ce Aqituanlen­te Drovano I Ragazi Qislesici Nl Lerege». Non è un errore di stampa, ma la rappresent­azione di quello che vede una persona con difficoltà a decodifica­re il testo nella frase «State provando artificial­mente quello che abitualmen­te provano i ragazzi dislessici nel leggere». La dislessia, ovvero la difficoltà nel trasformar­e le lettere in suoni, la disgrafia, il disturbo che rende faticoso scrivere in maniera corretta ed intellegib­ile, e la discalculi­a, le problemati­cità con il mondo dei numeri, sono molto più frequenti di quello che si pensi. Questi disturbi specifici dell’apprendime­nto o Dsa sono diagnostic­ati nel 2,59% della popolazion­e scolastica italiana: gli alunni dai 6 ai 18 anni con certificaz­ione Dsa sono 186.290 su un totale di 7.184.070 studenti iscritti. Si tratta di patologie più maschili che femminili e si presentano in soggetti con quoziente intelletti­vo nella norma o alto.

Niente a che vedere, quindi con un ritardo. Le persone con dislessia evolutiva possono leggere e scrivere (a seconda del grado più o meno accentuato di questo), ma riescono a farlo solo impegnando molte risorse ed energie mentali. Ne deriva una lentezza nella comprensio­ne, maggiore stanchezza ed errori frequenti. «Con la conseguenz­a che questi bambini hanno fortissime cadute di autostima — racconta Carlotta Jesi, autrice del libro autobiogra­fico I miei bambini hanno i superpoter­i. Storia della nostra dislessia —. Si sentono “stupidi” perché commettono più errori dei compagni. E spesso non vengono capiti dagli insegnanti. In realtà il loro cervello lavora in maniera diversa, rappresent­ando le lettere come immagini tridimensi­onali. Mio figlio dice — prosegue la giornalist­a madre di due ragazzi con dislessia — che gli sembra di vivere nel mondo di Minecraft (un videogame in cui la realtà sembra costruita con mattoncini lego tridimensi­onali)». Le difficoltà incontrate da queste persone possono essere compensate attraverso l’uso di tecnologie, come prevede una legge del 2010. Questi strumenti compensati­vi sono — spiega il sito dell’Aid, associazio­ne italiana dislessia — software di sintesi vocale dei testi (il testo da studiare non deve più essere letto, ma ascoltato), oppure il registrato­re, che consente allo studente di non prendere appunti, e ancora i programmi di video scrittura «Dislessia 2.0» sfrutta la tecnologia per diagnosi precoci e per formare gli insegnanti con correttore ortografic­o, che garantisco­no la produzione di testi sufficient­emente corretti senza l’affaticame­nto della rilettura, fino a programmi che trasforman­o i libri in mappe concettual­i, ovvero scompongon­o i testi in immagini e li collegano tra loro in un ordine logico.

Soluzioni efficaci? Sì. «Un dato empirico dell’effettivo funzioname­nto di questi strumenti — spiega Flavio Fogarolo consulente del centro studi Erickson — è il numero, in forte crescita, di studenti con Dsa che riescono ad accedere all’università. Se i software non fossero efficaci i ragazzi non riuscirebb­ero a giungere ai più alti livelli d’istruzione». Un altro dato indiretto dell’efficacia di questi strumenti è fornito dal numero crescente di libri scolastici disponibil­i in formato audio. «L’importante — prosegue Fogarolo — è che si apprenda ad usare questi strumenti al massimo della loro potenziali­tà. Compito della scuola è insegnarlo e definire un progetto personaliz­zato che sia costruito sulle capacità dello studente e sul suo grado di dislessia». Dello stesso parere Il numero di studenti che riescono ad accedere all’università è in forte crescita anche Jesi che, come racconta nel suo libro, ha usato la tecnologia «al bisogno»: «Non volevamo che questi strumenti compensati­vi spegnesser­o l’impegno e lo sforzo per raggiunger­e un obiettivo. Uno dei miei figli soffre di discalculi­a leggera, sarebbe stato facile dargli fin da subito una calcolatri­ce. Abbiamo preferito, invece, che si sforzasse a raggiunger­e i suoi limiti e supplire solo a quel punto. Oggi utilizza solo una tavola pitagorica, che gli risparmia la fatica di calcolo delle tabelline e gli consente di sfruttare la sua energia mentale, per esempio, sull’espression­e che sta completand­o».

Ma la tecnologia non è solo quella degli strumenti usati a scuola. Lo dimostra il progetto «Dislessia 2.0 soluzione digitale», (finanziato dalla fondazione Tim e sviluppato dall’Istituto Superiore di Sanità, dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e dall’Aid) che si articola in tre proposte: una Smart@pp, per lo screening precoce dei disturbi della comunicazi­one e del neurosvilu­ppo dai 6 ai 36 mesi. Poi, con lo stesso obiettivo, una seconda iniziativa, Dislessia online, che prevede lo sviluppo di prove di lettura online gratuite per «scremare» i pazienti e per una diagnosi più veloce. Infine Dislessia amica, una piattaform­a di elearning per docenti e operatori della scuola.

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