«I suoi confini erano tracciati dagli ulivi»
Aveva vissuto «tra asilo ed esilio» (secondo il titolo di un suo libro uscito per Meltemi nel 1998): Predrag Matvejevic era nato a Mostar nel 1932 e allo scoppiare della guerra nell’allora Jugoslavia, nel 1991, era emigrato in Francia fino al 1994, poi in Italia (ebbe la cittadinanza da Oscar Luigi Scalfaro, anche grazie all’impegno di molti intellettuali tra cui Claudio Magris e Raffaele La Capria). Diversi gli incarichi universitari, a Zagabria, alla Sorbona e «per chiara fama» la cattedra di Slavistica alla Sapienza. Il suo primo libro in Italia fu Breviario mediterraneo, per l’editore Hefti (1988) e poi per Garzanti (1991), un multiforme saggio-romanzo, un trattato storico-poetico, come fece notare per primo lo stesso Magris, cui si deve una celebre prefazione proprio al Breviario. Matvejevic «legge il mondo, la realtà, i gesti e il vociare delle persone, lo stile delle capitanerie — così scrisse Magris —, l’indefinibile trapassare della natura nella storia e nell’arte, il prolungarsi della forma delle coste nelle forme dell’architettura, i confini tracciati dalla cultura dell’ulivo, dall’espandersi di una religione o dalla migrazione delle anguille». Erano questi i confini che gli interessavano. Tra le opere edite in Italia, Epistolario dell’altra Europa (Garzanti, 1992), Sarajevo (Motta, 1995), I signori della guerra (Garzanti, 1999) e saggi in cui tornano l’Europa, il Mediterraneo che lo affascinava («I suoi confini non sono definiti né nello spazio né nel tempo», scrisse Matvejevic) e la guerra. Polemista, autore impegnato anche sul fronte civile (ebbe una condanna dalla Corte suprema di Zagabria per aver definito «talebani cristiani» gli intellettuali che avevano sostenuto il conflitto), la sua visione «di lunga durata» di culture e identità dei Paesi affacciati sul Mediterraneo ben si rispecchia nel volume uscito nel 2010, Pane nostro (Garzanti), altro viaggio che «abbracciava — così scrisse Aldo Grasso sul “Corriere” — l’intera storia dell’umanità».