Boldrini: «Elezioni? Prima approvare molti atti in attesa»
La presidente della Camera: non c’è solo la legge elettorale ci sono altri atti importanti da approvare nella legislatura Vedo che l’ex premier ha cambiato prospettiva sulle urne
«Il governo durerà finché ha una maggioranza in Parlamento. Ma oltre al sistema elettorale esistono altre priorità, non meno urgenti e sentite. Ci sono misure che giacciono al Senato da mesi: provvedimenti che toccano i diritti individuali, la vita delle persone. E vanno approvati entro la legislatura». La presidente della Camera, Laura Boldrini, dice al Corriere che il «populismo sta crescendo e sarebbe irresponsabile frammentare l’area progressista». E poi: «Vedo che anche Renzi ha cambiato prospettiva sulle urne».
«Bisogna dare la precedenza alla responsabilità e alla generosità. Capire ciò che è utile al Paese e anteporre questo interesse alle ambizioni personali, impedendo che abbiano il sopravvento». Laura Boldrini, presidente della Camera e terza carica dello Stato, non fa nomi. E dunque solo maliziosamente si può pensare che si riferisca a Matteo Renzi. Ma forse la sua indicazione è più generale. Rinvia a una fase di disuguaglianze sociali che stanno lacerando l’Italia, mentre la politica si concentra sulle riforme costituzionali e sulla legge elettorale. «Ma non c’è solo la riforma del voto», avverte la presidente della Camera. «Altrimenti la sinistra rischia di apparire lontana dalla realtà».
Eppure il vertice del Pd continua a dire che una volta scelto il nuovo sistema elettorale, si torna alle urne.
«Dobbiamo stare attenti a non ripetere l’errore commesso col referendum costituzionale, quando sembrava che tutta la vita italiana ruotasse intorno a quella scadenza. Il governo durerà finché ha una maggioranza in Parlamento. Ma oltre al sistema elettorale esistono altre priorità, non meno urgenti e sentite. Ci sono misure che giacciono al Senato da mesi: provvedimenti che toccano i diritti individuali, la vita delle persone. E vanno approvati entro la legislatura».
Giacciono lì perché il Senato funziona male e perché il bicameralismo rallenta il percorso delle leggi?
«Non credo che la colpa sia del Senato, né del bicameralismo. Il problema è la maggioranza che non funziona bene perché ha numeri diversi nei due rami del Parlamento. La questione è politica. E credo che se non si creano le premesse per eleggere coalizioni omogenee per Camera e Senato, questa sconnessione si riproporrà, aggravata».
La legge elettorale è importante?
«Certo che è importante: deve garantire la rappresentanza e la governabilità. E la deve plasmare il Parlamento, non la Consulta: limitarsi ad applicare le sentenze emesse dalla Corte costituzionale, secondo tutti gli esperti, sarebbe solo una garanzia di instabilità, oltre che un segno di impotenza del potere legislativo. E invece il Parlamento deve sentire l’orgoglio di fare una nuova legge. Persistono troppe differenze tra Camera e Senato: vanno appianate, i due sistemi elettorali vanno resi omogenei. Su questo credo che il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, abbia parlato chiaro. E va ascoltato. Parlo delle differenze su premio di maggioranza, capilista bloccati, soglie di sbarramento: non si possono minimizzare. E parlo anche della doppia preferenza di genere, che adesso è prevista solo alla Camera e di cui quasi nessuno si occupa: non vorremo mica un Senato per soli uomini? La soluzione deve uscire da una discussione tra le forze politiche più condivisa possibile, non con gli strappi che abbiamo vissuto in questa legislatura. Ma ripeto: non possiamo tralasciare i bisogni reali delle persone».
Sembra che lei lo consideri quasi più importante.
«Lo è almeno altrettanto. La legislatura ha un patrimonio di leggi da approvare in via definitiva che non va buttato via. La prescrizione: anche i familiari delle vittime della strage di Viareggio la temono. Ogni volta che un processo finisce con la prescrizione è una sconfitta dello Stato. L’introduzione del reato di tortura. La riforma della cittadinanza. La legge-delega sulla lotta alla povertà. In un Paese che ha quattro milioni e mezzo di poveri assoluti, magari il provvedimento ne copre solo poco più di un terzo. Ma sarebbe un segnale importante. I progressisti hanno il compito di arginare disuguaglianze che stanno impoverendo tanti e schiacciando la classe media. E non è un problema solo economico: è anche politico. Deve affermarsi una sinistra che rappresenti i nuovi esclusi».
Leader alla Sanders in Usa, alla Corbyn in Gran Bretagna e alla Hamon in Francia? Non sono candidati che segnano l’involuzione verso una sinistra passatista?
«Perché passatista? Nell’Ue e negli Usa sono emersi nelle forze di sinistra candidati che hanno riportato la barra verso valori fondamentali che si sono smarriti negli ultimi anni. Ma il pensiero progressista non è morto. Va riproposto, seppure aggiornato, a un elettorato deluso, tradito, disorientato. Si pensava che l’identità di sinistra non fosse più di moda. Invece lo è».
Ma le sinistre sembrano condannate a essere minoritarie.
«E chi lo ha detto? Non sarà il contrario, e cioè che una sinistra con una forte identità può diventare maggioranza? Se non ora, quando? Bisogna recuperare un’identità egualitaria, e rilanciarla in un’ottica contemporanea. Secondo me questo è il tempo della sinistra».
Anche se dovunque vince la destra?
«Vince se lasciamo un vuoto culturale e politico, che consente alla destra di sfruttare le disuguaglianze senza risolverle: fino al paradosso del miliardario Trump, preferito a una sinistra che rischia di morire di identificazione con l’establishment. Se inseguiamo la destra sulla sicurezza, se non facciamo abbastanza per combattere la discriminazione delle donne in ogni campo, insomma se la sinistra fa la destra, vincono gli altri. Ci vuole qualcuno che recuperi questi valori».
Sembra l’identikit perfetto di una candidatura Boldrini.
«Non sto parlando di questo. Ma che esista un fermento nella sinistra è indubbio. Il fatto che l’ex premier e segretario del Pd sembra stia cambiando prospettiva mi pare una novità».
Un Renzi meno tentato dal voto anticipato?
«Beh, qualche giorno fa diceva di volere andare alle urne comunque, e il prima possibile. Adesso, stando a quello che ha dichiarato al Corriere, ha aperto alle primarie e al congresso, ha una linea interlocutoria. Ne deduco che non vuole una scissione».
Il consiglio Occorre dare la precedenza a responsabilità e generosità, capire ciò che è utile al Paese e anteporlo alle ambizioni personali Il rischio Una sinistra con una forte identità può diventare maggioranza. Se no, il rischio è una sinistra che rischia di morire di establishment
Crede davvero che questa sinistra divisa possa riunificarsi?
«Ogni gesto verso dialogo e inclusione va visto in modo positivo. D’altronde, anche dentro Sinistra Italiana è in atto una discussione, che spero si concluda bene. Se il Pd ritrova il contatto col suo elettorato, è un bene. Paolo Gentiloni che crea un ministero per il Mezzogiorno, dove il Pd ha perso, fa la cosa giusta. Sarebbe da irresponsabili frammentare l’area progressista mentre cresce l’Internazionale populista».
Secondo lei le forze populiste, M5S in testa, si sono rafforzate col governo Renzi?
«Difficile a dirsi. Occorrerebbe un barometro esatto che non ho. Osservo solo che le persone sono ancora arrabbiate e scontente. La gente non ha capito e non capisce perché si sia speso tanto tempo solo sulle riforme costituzionali».
Non è paradossale che dal 2013 la sinistra abbia bruciato due governi e minacci di buttare giù il terzo? Tutti suoi?
«Questo è un punto di vista. Un altro dice che la successione dei governi è servita per aumentare la stabilità. Certo, il passaggio del 2014 da Enrico Letta a Renzi, per molti, è stato difficile da capire e da accettare: soprattutto per il modo in cui è avvenuto».
È d’accordo con Giorgio Napolitano quando dice che bisognerebbe arrivare alla fine della legislatura?
«Tempi e durata del governo li decideranno i partiti. Ma non è accettabile che a Napolitano, per avere espresso una sua opinione, siano arrivati insulti indegni».