Berlusconi e i due ministri
Approvazione per le parole sui tempi del voto e il possibile asse con FI sulla legge elettorale
Berlusconi è uomo di folgorazioni e delusioni. E se su Renzi ormai è calato il velo, su Calenda e Franceschini è scattato l’entusiasmo dell’infatuazione.
Il Cavaliere ci mette poco per farsi prendere dal trasporto (politico), e con i due ministri del governo Gentiloni è stata una fiammata. Del titolare per lo Sviluppo Economico, l’altro ieri diceva: «Com’è bravo, lo potremmo candidare a premier». Del titolare per la Cultura, ieri ha detto: «Com’è bravo, potrebbe essere il presidente del Consiglio ideale per un governo di larghe intese». Ovviamente il fondatore del centrodestra non direbbe simili cose se si potesse candidare. Ma siccome (per ora) non può, è sempre a caccia di qualcuno per passare il tempo.
Pare si sia intrigato persino del sindaco di Milano, se è vero che l’ha messo sotto osservazione e ha commissionato su di lui una pila di sondaggi. D’altronde Sala era «la mia prima scelta», così almeno si fece sfuggire all’indomani del ballottaggio per Palazzo Marino: «Gli avevo parlato per candidarlo con noi, mi rispose — questa la versione di Berlusconi — che non poteva perché temeva di finire sulla graticola dei magistrati». Vista la prospettiva di grandi coalizioni, le strade potrebbero incrociarsi.
Nell’attesa, Calenda e Franceschini hanno un po’ colorato le sue giornate, ingrigite dai rigurgiti giudiziari: il primo ha aperto il vaso di Pandora in casa Renzi, dicendo che «sarebbe un rischio per il Paese andare alle urne in giugno»; il secondo ha aperto alla trattiva con Forza Italia sulla legge elettorale, dicendo che bisognerebbe assegnare il premio di maggioranza alla coalizione non più alla lista. Progetto a cui mira anche Alfano. Berlusconi è pronto ad accettare, per evitare la convivenza con Salvini, che a sua volta — non volendosi «mischiare» con Berlusconi— non ha bocciato la proposta, avendo l’ambizione di riscoprirsi davanti al Cavaliere all’apertura delle urne.
Ma, per dirla con Verdini, «sulla legge elettorale siamo ancora alle schermaglie»: bisognerà attendere le motivazioni della Consulta alla sentenza sull’Italicum — secondo il capo di Ala — per sapere «le reali intenzioni di Renzi», per capire cioè quando e come si andrà a votare. Tutti gli uomini di Berlusconi vorrebbero capirlo prima, e si interrogano se sia opportuno alzare il telefono per far parlare il Cavaliere con il leader del Pd, o se invece sia preferibile attendere lo squillo. Ogni opzione comporta dei rischi: nel primo caso il timore è che Renzi non risponda, nel secondo che il telefono resti muto.
E allora tocca a Letta tenere un piede nel campo di Agramante, in modo da sapere cosa accade nel Pd. Così al Cavaliere viene riferito che il Guardasigilli
Le relazioni con il Pd Il dubbio dentro Forza Italia se chiamare Renzi o attendere che sia lui a fare il primo passo
Orlando è favorevole al premio di coalizione, «anche se ancora da noi è tutto confuso». La confusione è tale — secondo quanto saputo da Berlusconi — che Delrio sarebbe rimasto sorpreso dall’intervista di Renzi al Tg1: «Doveva aprire al premio di coalizione e non l’ha fatto». Ogni informazione che riceve, rafforza nel capo degli azzurri il convincimento che il leader dem non abbia ancora smaltito la botta referendaria: non tanto perché non ha detto ciò che avrebbe voluto dire, ma perché ha detto ciò che non avrebbe voluto dire. Per esempio la battuta sul «vitalizio dei parlamentari», di cui si sarebbe pentito.
Ma se al Nazareno piangono, ad Arcore non ridono. Per esorcizzare la paura dei Cinquestelle, circola la battuta che — se Grillo vincesse — staccherebbe anche l’antenna della tv a casa del «dottore». La speranza di ottenere il premio di maggioranza alla coalizione, porta Berlusconi a essere prudente e a far rilasciare poche dichiarazioni di plauso per la proposta di Franceschini, onde evitare che finisca schiacciata da un sua pubblica approvazione. Intanto si prodiga nel vecchio ruolo del federatore. «Più si può allargare l’alleanza, meglio è», ha detto ai suoi sherpa: «Parlate con tutti». E anche lui ha ripreso a parlare con tutti, riesumando persino la geniale idea del ’94 che lo portò a Palazzo Chigi: il Polo della Libertà e il Polo del Buongoverno. Da allora però è cambiato il mondo.