Meno regole a Wall Street: linea Trump per la finanza
Il presidente inizia a demolire le leggi volute da Obama dopo la crisi finanziaria. Sanzioni e tensioni con l’Iran
Ora tocca alla finanza. Ieri Donald Trump ha cancellato vincoli e controlli proposti da Barack Obama e approvati dal Congresso nel 2010. È la legge Dodd-Frank, la risposta politica alla più grande crisi economica del dopoguerra.
La norma chiave è la separazione tra le finanziarie specializzate in investimenti e le banche che raccolgono denaro dai risparmiatori. Negli anni fino al 2007-2008 gli istituti di credito potevano lanciarsi in scommesse spericolate, come quella sui mutui subprime, compromettendo le riserve di garanzia, spesso fino alla bancarotta.
Nel corso della campagna elettorale Trump aveva attaccato
Giorni frenetici Monito della Casa Bianca alla Nord Corea, allo studio la revisione dell’apertura a Cuba
a lungo «gli interessi di Wall Street». Nello stesso tempo, però, si appoggiava agli uomini più spregiudicati di Wall Street per cercare finanziamenti. Uno di questi è Steven Mnuchin, ora designato al Tesoro. Un altro è Gary Cohn, ex presidente di Goldman Sachs e ora direttore del Consiglio economico nazionale della Casa Bianca. Sono le volpi (pentite?) messe da Trump a guardia del pollaio. In un’intervista con il Wall
Street Journal, Cohn ha spiegato che «la Dodd-Frank non ha raggiunto gli obiettivi previsti». Anzi «ha ristretto le scelte dei consumatori». Cohn ha aggiunto: «Noi abbiamo le banche migliori e più capitalizzate del mondo; ma sono oberate dalla più pesante, straripante regolamentazione del mondo».
La decisione di Trump sicuramente non sarà piaciuta
alla presidente della Federal Reserve, Janet Yellen, che nelle ultime conferenze stampa ha difeso l’attuale sistema di garanzie per il risparmio e di protezione per i consumatori.
Il nuovo leader americano sta smantellando a picconate le strutture interne più importanti
ereditate da Obama. Prima la riforma sanitaria, ora la «Dodd-Frank».
Più contraddittori, invece, gli sviluppi in politica estera. Nelle ultime ore Trump ha comunicato che le sanzioni contro la Russia non si toccano. Inoltre ha chiesto al primo ministro israeliano,
Benjamin Netanyahu, di fermare la costruzione di altri insediamenti nei Territori occupati. Sono due posizioni in linea con la visione di Obama e forse sono il risultato di una gestione più collegiale, con l’arrivo di Rex Tillerson a capo del Dipartimento di Stato.
Trump, invece, conferma la linea dura nei confronti dell’Iran. Prima via Twitter: «Stanno giocando con il fuoco. Non hanno apprezzato quanto sia stato gentile con loro il presidente Obama. Io non lo sarò». Poi con un annuncio del ministero del Tesoro: nuove sanzioni a carico di 13 esponenti del governo e di 12 enti come risposta agli esperimenti nucleari. Da Teheran l’esecutivo guidato dal presidente Hassan Rohani ha fatto sapere che «gli Stati Uniti violano gli impegni assunti con l’accordo sul nucleare, anche con l’avallo del Consiglio di sicurezza dell’Onu». Ma potrebbero esserci presto altre sorprese: lo staff di Trump si sta rendendo conto di quanto sia giuridicamente e politicamente complicato ripudiare l’intesa sull’energia atomica sottoscritta nel 2015 da Stati Uniti, Iran, ma anche da Cina, Russia, Gran Bretagna, Germania e Francia.
Sono giorni frenetici. Trump sta imponendo un ritmo forsennato. Due giorni fa ha «avvisato» anche la Corea del Nord a «non coinvolgere gli Stati Uniti» nell’escalation nucleare. Ieri il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, ha detto che è allo studio la revisione della politica di apertura nei confronti di Cuba.
Ma fretta non è sempre sinonimo di efficienza. Il bando temporaneo sui viaggiatori provenienti da 7 Paesi musulmani continua ad alimentare confusione. Con un episodio grottesco: ieri è stato fermato e interrogato per un’ora all’aeroporto di Washington l’ex primo ministro norvegese Kjell Magne Bondevik. Sul suo passaporto era stampato un timbro doganale dell’Iran.
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