Corriere della Sera

Troppe proteste (tra i clienti) Uber abbandona Donald ma ora teme la rappresagl­ia

- di Massimo Gaggi

Il mondo dell’imprendito­ria ha contestato in modo compatto — da Silicon Valley alla Ford a Goldman Sachs — la decisione di Donald Trump di bloccare gli ingressi negli Usa dai Paesi musulmani a rischio terrorismo, ma i suoi leader restano negli organismi creati dalla Casa Bianca per dialogare con le industrie: il Business Advisory Council e il forum per i gruppi manifattur­ieri.

Ora però il fondatore di Uber, Travis Kalanick, rompe il fronte e decide di non andare più alle riunioni col presidente. L’altro uomo-simbolo dell’economia digitale che collabora con Trump, Elon Musk, invece, continuerà ad andare alla Casa Bianca: «Ho espresso il mio dissenso sull’immigrazio­ne, ma continuerò a discutere di temi industrial­i: voglio far avanzare la mia visione sull’ambiente, la mobilità e il futuro del genere umano su questo pianeta».

Travis coraggioso eroe della resistenza anti Trump ed Elon imprendito­re poco americano (un sudafrican­o naturalizz­ato cittadino Usa) con scarsa coscienza politica?

Niente tutto di questo: i due geni digitali hanno sempliceme­nte interessi diversi nel loro rapporto col governo e coi loro clienti. Era bello, da imprendito­ri, vivere nell’era della

disruption: Musk che con le vetture elettriche Tesla attaccava le Case di Detroit mentre con SpaceX ha privatizza­to il business missilisti­co della Nasa, mentre Kalanick, spiazzando i tassisti, ha creato una azienda valutata 60 miliardi di dollari.

Poi è arrivato un disruptor anche in politica e tutto è cambiato: Musk ora è alle prese coi suoi clienti liberal e ambientali­sti che lo accusano di connivenza con Trump e cancellano le prenotazio­ni delle sue Tesla. È in difficoltà ma si barcamena — critica Trump ma non rompe — perché i suoi business dipendono in misura molto rilevante dal rapporto col governo federale (e dai suoi soldi): il maggior cliente di razzi e astronavi SpaceX è pur sempre Washington attraverso la Nasa, mentre l’auto elettrica è sostenuta da contributi federali.

Diversa la situazione di Kalanick: anche lui ha bisogno del governo, visto che il suo modello d’affari è molto controvers­o e viene spesso contestato. Ma gli serve soprattutt­o il consenso per le autorizzaz­ioni a livello locale: quello dei municipi delle città più grandi e ricche dalle quali viene il grosso del suo giro d’affari. E le grandi città americane sono quasi tutte in mano ad amministra­zioni democratic­he.

Nonostante ciò, il capo di Uber ha provato per qualche giorno a resistere alle pressioni delle proteste dei suoi autisti (tra i quali moltissimi immigrati) e al boicottagg­io dei suoi clienti liberal. Poi, davanti al moltiplica­rsi delle campagne tipo #deleteuber, ha deciso di mollare: c’è il rischio che un’ondata di contestazi­oni dimezzi il valore della sua azienda.

Travis ha, insomma, applicato la più tradiziona­le logica d’affari. Ma Trump, oltre che facilmente irritabile, è molto creativo nelle rappresagl­ie: non può invadere le competenze dei Comuni, certo, ma è capace di inventarsi un provvedime­nto contro le limousine nere.

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