Corriere della Sera

Le lacrime della mamma «Era distrutto, io pensavo che si sarebbe suicidato»

- A. Pasq.

Accanto al forno storico dei Di Lello, in questa via Roma di piccoli negozietti e vecchie case, scoppia un improvviso trambusto. Due giornalist­i, un paio di operatori televisivi e una signora che alza la voce e a un certo punto si mette a singhiozza­re: «Pensavo che si ammazzasse lui». È Michelina Foglio, la madre di Fabio Di Lello. La signora non sa se parlare, se tacere, prima si allontana, poi si ferma. «Vieni via», la trascina il marito. Parla lui: «Qui ci sono tre tragedie adesso…», ma non fa in tempo ad articolare il discorso che arriva l’altro figlio, fratello di Fabio: «Basta!». E così rientrano in casa tutti e tre. Escono dopo mezz’ora e, tranquilli­zzati forse dal fatto di non vedere telecamere, parla il fratello. «La verità è che Fabio non stava bene e io temevo molto che facesse qualcosa…». Qualcosa a Italo? «Diciamo qualcosa in generale...». Suicidio? «Sì anche». Era in cura Fabio e prendeva da tempo psicofarma­ci per trovare un nuovo equilibrio. «Ma non ce la faceva», aggiunge. «Sì — ribadisce la madre —. Io non pensavo che uccidesse qualcuno

Il fratello Prendeva psicofarma­ci ma non riusciva a ritrovare un equilibrio Ora ci sono tre famiglie rovinate, ci uniamo al loro grande dolore che è anche il nostro dolore

ma che potesse...». Non riesce nemmeno a pronunciar­la quella parola. Il padre insiste sulle tragedie: «Tre famiglie rovinate, prima quella di Roberta, poi la nostra e ora quella del ragazzo. Non doveva succedere». Una parola ai genitori del giovane Italo che si sono comportant­i con grande dignità di fronte all’uccisione del figlio per mano di Fabio? «Ci uniamo al loro grande dolore che è anche il nostro dolore». Dopo la guerra, dunque, sembra tornare la pace a Vasto. Ma il tributo di sangue dei sette mesi più lunghi della cittadina abruzzese dove tutto sa di mare, è stato alto: due morti, un uomo disperato in galera e centinaia fra parenti e amici affranti. Il fratello ha l’aria triste, controlla lo striscione che ancora campeggia a caratteri cubitali fuori del forno: «Giustizia per Roberta», con la fotografia di lei. «Che cosa dici, si può anche togliere ora?», domanda. «Non ha più senso nulla. E anche tutta ’sta cosa mediatica, basta adesso, è ora di stare in silenzio». Salgono nella loro auto, il figlio alla guida, mamma Michelina dietro. Con una mano saluta e con l’altra si copre gli occhi che riprendono a inumidirsi.

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