Corriere della Sera

Vita all’estero (su Skype)

- Di Elena Tebano 1 3 2 4

Orgoglio e malinconia. Orgoglio per la vita più bella che i loro figli o fratelli hanno saputo conquistar­e, malinconia perché quella vita è lontana da loro. Da sempre è il sentimento comune ai familiari di chi emigra: oggi a declinarlo e a sanarlo in un modo nuovo c’è la luce azzurrina di uno schermo. Perché il mondo è più piccolo, unito dall’immediatez­za senza tempo e distanza di una videochiam­ata — Skype, Facetime — o dalla consuetudi­ne quotidiana dei messaggini su WhatsApp. Una dimensione impensabil­e per l’emigrazion­e povera e antica, che pure ha fatto tanta storia d’Italia: si partiva per non tornare più. I più fortunati una volta nella vita. E poi c’erano le lettere con la busta bianca azzurra e rossa della posta aerea, da aspettare per settimane e in cui raccontare di nascite e morti.

Oggi chi va «torna» ogni giorno, se pure per pochi minuti, illuminato dai pixel di un pc, un tablet, un cellulare. Lo racconta il fotografo emiliano Max Cavallari, 27 anni, con il progetto (Di)stanze, che dal 19 al 28 maggio sarà in mostra a Palazzo D’Accursio a Bologna: 50 scatti di altrettant­e famiglie che hanno una persona amata lontana. Come Carla De Benedetti, 67 anni, e Filippo Verticchio, 80: la figlia Giulia, di 30, da due ha lasciato Roma per il Canada. Un Mondo Nuovo più a portata di mano, anche per lei, grazie al web: «Ha fatto domanda per una vacanza lavorativa e sostenuto il colloquio via computer — racconta la madre Carla —. Doveva stare sei mesi ed è ancora lì, le è piaciuto il Paese e le opportunit­à che qui non aveva: lavora in una radio e sta prendendo la terza laurea. Per noi è una sofferenza averla così lontana, però le soddisfazi­oni che ci dà ci fanno sopportare la distanza. Ci sentiamo via Skype e WhatsApp. Ormai per me è normale: ho imparato a usarli quando studiava ed era in Francia per l’Erasmus».

Generazion­i mobili, ma con un occhio alle origini. «Mia sorella Sara fa la ricercatri­ce a Barcellona — dice Michele Tulipani, 39 anni, di Macerata —. È in un bel posto e le piace il suo lavoro. Certo preferirem­mo che fosse in Italia». Per molti significa avere nipotini che parlano un’altra lingua: «Il bambino al telefono mi dice cose incomprens­ibili. Poi per fortuna passa all’italiano», sorride Claudio Aimola, 69 anni. Suo figlio Dario, di 36, è partito da Villasmund­o, nel Siracusano, per Magonza, Germania, e lavora in una multinazio­nale che vende attrezzi sportivi. «Averlo così lontano è difficile, ma sono contento perché lui e la moglie, anche lei siciliana, si sono sistemati molto bene — spiega —. Io odio il telefono, è mia moglie Lidia che lo sente in videochiam­ata con il tablet. Ma comunque ogni Natale prendiamo l’aereo e andiamo». Distanze azzerate dalle tecnologia. Connession­i

Giuseppina e Antonio nella casa a Tricarico, Matera, collegati con la figlia Chiara da Hua Hin, Thailandia

Vittoria, residente a Napoli, mostra la schermata con la figlia Roberta, che si è trasferita a Barcellona

Carla e Filippo, residenti a Roma, connessi con la figlia Giulia che ora si trova a Montreal, in Canada

Lidia e Claudio nel salotto di casa a Villasmund­o (Siracusa) mostrano sul pc Dario, collegato dalla Germania

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