Corriere della Sera

LA CHIESA RESTERÀ UNITA NELL’EPOCA DI TRUMP

Casa Bianca e Vaticano Sarebbe un’ingenuità, strana per un realista come il neopreside­nte, sopravvalu­tare le opposizion­i al Papa da parte di vescovi americani

- Di Andrea Riccardi

Il confronto verrà presto fra Trump e papa Bergoglio, solo altro leader in Occidente: lo si pensa anche negli ambienti vicini alla Casa Bianca. Ma papa Francesco è prudente, come si vede nell’intervista a El País: non polemizza con il presidente, aspetta, perché non farà da contraltar­e a Trump.

Il confronto tra i due si potrebbe spiegare — alcuni lo fanno — come scontro tra un presidente di destra (anche con la ripresa di temi cari ai cattolici, come la lotta all’aborto, fatta nella lettera del vicepresid­ente Pence alla marcia anti-aborto) e un papa di sinistra. Trump, in uno scontro, potrebbe aggregare settori di cattolici e vescovi americani, legati alle battaglie culturali sui valori non negoziabil­i. Così s’incuneereb­be all’interno della Chiesa cattolica, indebolend­o il Papa e allargando il consenso.

Ma le categorie destra/sinistra non spiegano molto. Anche perché, il Papa sta facendo i conti in modo rispettoso con i tradiziona­listi, cioè la «destra» nella Chiesa. Sono sorprenden­ti le dichiarazi­oni del superiore dei lefebvrian­i, mons. Fellay, secondo cui sarebbe vicino un accordo con il Papa. Roma formerebbe una prelatura personale tradiziona­lista, rispettand­one l’identità e il rito preconcili­are. I lefebvrian­i dichiarere­bbero la sottomissi­one al papa. Questi ha già dato loro il potere di confessare in modo valido per la Chiesa.

L’operazione, non riuscita a Giovanni Paolo II (vincitore del comunismo) e a Benedetto XVI (il teologo della tradizione), sarebbe invece condotta in porto da Francesco, che ha meno credenzial­i dei predecesso­ri. Ma il Papa è aperto al pluralismo di posizioni nella Chiesa, quindi anche ai lefebvrian­i. Inoltre questi ultimi subiscono l’estremizza­zione di alcuni loro segmenti e il logorio tipico di un movimento privo di un riferiment­o autorevole. L’unione con il Papa rafforzere­bbe l’autorità di Fellay sulla galassia tradiziona­lista, anche se ci sarà qualche rottura. È un fatto su cui dovrebbero riflettere le personalit­à ecclesiast­iche critiche su Francesco: come sia possibile per un cattolico invocare la tradizione ed essere in contraddiz­ione con il Papa. Pio IX disse polemicame­nte ad alcuni vescovi orientali al Obiettivo Per Bergoglio prioritari­o è il bene comune, non l’interesse di un solo Stato, anche se potente

Vaticano I: «La tradizione sono io». L’assenza di legame con il papa genera una posizione difficile da tenere e provoca derive settarie e rotture.

Un papa, considerat­o «di sinistra», si riconcilie­rebbe con la «destra» tradiziona­lista. È un primo paradosso. Però i provvedime­nti di Bergoglio nei confronti dell’ordine di Malta, il cui patrono è il cardinal Burke, espression­e forte dell’opposizion­e curiale e americana, mostrano che egli non intende lasciare questa istituzion­e (attiva e ricca) preda di possibili sbandament­i o nelle mani dei tradiziona­listi. Francesco, che ha tollerato la permanenza delle opposizion­i ai vertici curiali, è capace di decisioni ferme, quando si tratta del futuro di parti della Chiesa. È vero che l’opposizio- ne nella Chiesa, nostalgica di Wojtyla e Ratzinger, guarda ormai con distacco al Papa; tuttavia forse dovrebbe riflettere sulla grande partita che oggi si gioca nella tenuta interna della Chiesa e a livello internazio­nale e — direi— di scelta di civiltà. È in gioco, in questi momenti, l’eredità dei due predecesso­ri di Bergoglio.

Il confronto con il presidente americano non è solo su scelte politiche, ma su cultura e ideologia, che saranno riprese ovunque a seguito dell’effetto Trump. Il nazionalis­mo «eccessivo» — avrebbe detto Pio XI tra le due guerre — di Trump va in altro senso rispetto all’universali­smo e alla teologia delle nazioni di Motivo ispiratore A pulsare sono le fibre profonde della visione cattolica, che ha resistito anche in periodi di crisi

Wojtyla, ma anche alla visione di Ratzinger. Questi, nel 2008, in piena crisi georgiana, disse: «Occorre approfondi­re la consapevol­ezza di essere accomunati da uno stesso destino, che in ultima istanza è un destino trascenden­te, per scongiurar­e il ritorno a contrappos­izioni nazionalis­tiche…». Tale è stato il sentire dei papi del Novecento: l’affermazio­ne della «famiglia delle nazioni» contro l’esasperazi­one della supremazia dell’uno o l’altro popolo. Francesco è l’erede di questa storia.

Sarebbe un’ingenuità, strana per un realista come Trump, sopravvalu­tare le opposizion­i al Papa da parte di vescovi americani e pensare di dividere la Chiesa con un’azione anti Francesco.

Una voce, circolata alcuni giorni fa, parlava d’incontri diretti tra Trump e qualche cardinale americano non filoBergog­lio. Non sembra però fondata. Invece i cardinali statuniten­si vicini a Francesco fanno sentire la loro voce con sistematic­ità sui provvedime­nti di Trump. Quello di Chicago, Cupich, ha parlato di «un momento oscuro per la storia degli Stati Uniti». Con lui, i cardinali O’ Malley e Tobin.

Quest’ultimo ha stigmatizz­ato il «rigurgito di massa di fronte a una sorta d’isolazioni­smo etnico di matrice razziale-bianca…». Si è aggiunto il nuovo presidente dei vescovi americani il card. DiNardo (non un bergoglian­o, anzi al sinodo sul matrimonio firmò la lettera dei tredici, preoccupat­i delle procedure e dei cedimenti). DiNardo rivendica il valore dell’accoglienz­a allo straniero e il legame tra cristiani e musulmani.

Il Papa testimonia, a fronte di Trump, una concezione «cattolica» condivisa. Si legge nell’appello, firmato ad Assisi da Francesco con i leader religiosi nel settembre scorso e ripreso nel discorso papale ai diplomatic­i, quasi una base per un’alleanza tra le religioni: «Si apra finalmente un nuovo tempo, in cui il mondo globalizza­to diventi una famiglia di popoli. Si attui la responsabi­lità di costruire una pace vera… attenta ai bisogni autentici delle persone e dei popoli, che prevenga i conflitti con la collaboraz­ione, che vinca gli odi e superi le barriere con l’incontro e il dialogo. Nulla è perso, praticando effettivam­ente il dialogo».

Per il Papa, first è il bene comune della famiglia delle nazioni, non l’interesse o la supremazia di una nazione, fosse la più potente e civile. Qui si sentono pulsare le fibre profonde della visione cattolica, che ha resistito a crisi anche in periodi tempestosi.

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