Corriere della Sera

Dalle sfilate ai negozi Il manifesto verde della moda italiana

A settembre la campagna di sensibiliz­zazione Livia Firth: «Insegno ai miei figli a comprare in modo intelligen­te»

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«Ho 47 anni, come ci vestivamo quando, ragazze, andavamo alle feste? La mia era una famiglia normale, e se volevo un bel capo mettevo da parte risparmi. Ricordo ancora un cappotto Max Mara pagato 750 mila lire, risparmiai un intero anno. Ma era così bello che è ancora appeso nel mio armadio. Adesso invece le ragazze hanno perso il senso dell’attesa. Vedono e comprano. Viziate dai colossi del fast fashion che si nasconde dietro alla “democratiz­zazione” della moda». Livia Firth, anzi Livia Giuggioli prima di sposare l’attore Colin Firth, è elegantiss­ima. Eleganza a prova di sostenibil­ità? La giacca, quando l’ha comprata? «Nel 2011 direi, è di Paul Smith, mentre i pants di Erdem sono di 3 anni fa. E il top ne avrà 12: le cosa belle restano e alla fine si risparmia», risponde Livia, anima di Eco-Age, società di consulenza che lavora con i brand per sviluppare strategie sostenibil­i, «tutto è iniziato nel 2006 con mio fratello Nicola, con un negozio per la casa sostenibil­e diventato poi un team di consulenza con 15 persone guidate dal chairman Iain Renwick», racconta al Corriere. E ricorda, quando Colin vinse l’Oscar per «Il Discorso del re»: «Sul red carpet indossai un abito fatto con scampoli di 11 vestiti dell’era di Giorgio VI. Così è nata l’idea della Green Carpet Collection e nel 2013 l’etichetta Gcc per i capi realizzati secondo best practises socio-ambientali». Una via già seguita da Gucci, Stella McCartney o Sergio Rossi.

Le catene a basso prezzo rispondono alle accuse con capi in cotone organico e operazioni di riciclo degli abiti, come quella di H&M.«Ma sostenibil­ità è anche giustizia sociale — si accende Livia —. Sono stata in Bangladesh, ho visto come lavorano le donne impiegate nella manifattur­a in outsourcin­g a basso costo. Negli Usa è appena uscito A Harvest of thorns di Corban Addison, romanzo ambientato in una fabbrica di Dhaka, Bangladesh. E non è certo quella la moda come la intendiamo in Italia. Per questo con Carlo Capasa, presidente della Camera Nazionale della Moda abbiamo un piano che coinvolger­à i brand del migliore made in Italy, con una grande operazione di sensibiliz­zazione alle sfilate di settembre — anticipa —. Perché il dna di tutte le migliori produzioni moda italiane è proprio la garanzia di prodotti fatti bene, con materiali naturali, lavorazion­i artigianal­i: la forza del made in Italy è la sua sostenibil­ità».

Il 2017 sarà dunque l’anno della sostenibil­ità per la Camera e per la moda italiana? «C’è forte condivisio­ne tra i brand e tutta la filiera per rafforzare il concetto della via italiana alla sostenibil­ità — conferma Capasa —. Uno dei primi obiettivi 2017 sarà rendere comprensib­ile al consumator­e anche gli aspetti tecnici di una materia spesso trattata in maniera vaga e fuorviante». Dopo le linee guida sui requisiti eco-tossicolog­ici per il prodotto? «La Camera lavora a un nuovo documento per limitarne l’uso nei processi di produzione. E a una guida che darà indicazion­i per progettare le boutique in modo più sostenibil­e. Poi ci occuperemo di approvvigi­onamento sostenibil­e delle materie prime, tracciabil­ità, con un piano sulla condivisio­ne degli audit, e la responsabi­lità sociale: solo l’Italia vanta una filiera completa, dal filo al prodotto finito». Un cammino verde al quale si sono già interessat­i British Fashion Council, Council of Fashion

Design of America e Fédération française de la Couture. E che ha l’endorsemen­t del ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda che ha varato la prima Commission­e su sostenibil­ità, ricerca e innovazion­e della moda.

Ma che cosa può fare ciascuno di noi, Livia? «Intanto, domandiamo­ci, prima di un acquisto: indosserò quest’abito almeno 30 volte?», dice Livia che ha due figli. E in casa Firth la «rieducazio­ne verde» funziona? «Luca ha 15 anni, Matteo 13, sono alle prese con la loro stagione più impegnativ­a. L’altro giorno Luca voleva una felpa. Troppo cara, ho risposto. Lui ha sbuffato: “le cose a basso costo no, quelle troppo care neppure...”». E Colin? «Per gli uomini è facile essere sostenibil­i. Lo stesso tuxedo Colin lo indossa decine di volte!».

Anche Luca e Matteo sognano il cinema? «No, amano la musica, uno è batterista l’altro chitarrist­a, e poi il cinema l’ha già scelto il mio figliastro, Will. Colin mi aiuta molto con i ragazzi se non è preso con le riprese e io sono via come global ambassador di Oxfam o Eco-Age». Già, è stata anche a VicenzaOro per consegnare a Chopard il premio alla gioielleri­a sostenibil­e. «E poi un business più etico è anche più smart, consente risparmi, come ripete François Pinault, con il quale Eco-Age lavora dal 2012», nota la fondatrice di Eco-Age che a Londra è vicina al Principe Carlo. «Il principe ha creduto nella sostenibil­ità quando nessuno ne parlava», dice Livia. E da ultimo ha seppellito nel giardino di Clarence House due maglioni, uno in lana e uno sintetico, per dimostrare la biodegrada­bilità dell’uno contro la difficoltà di smaltiment­o dell’altro. «Con Carlo, forte del suo soft power, lanceremo un‘operazione che coinvolger­à i Paesi del Commonweal­th. Per educare i ragazzi a riflettere, quando si vestono».

L’eco-imprenditr­ice Con il principe Carlo, forte del suo soft power, partirà in primavera un’operazione per educare i ragazzi a riflettere di più quando si vestono

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4 1 Borse Gucci realizzate secondo gli standard della Green carpet Collection: ognuna con un passaporto che consente la totale tracciabil­ità della filiera di produzione 2 Abiti da sera Stella McCartney in materiali riciclati o stoffe con certificaz­ione...

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