Corriere della Sera

La generazion­e degli stilisti ragazzi «Possiamo essere pericolosi»

Olivier Theyskens: «Ero troppo sicuro di me, sono andato a sbattere Da Rochas pensavo di stare vent’anni e non solo quattro»

- Paola Pollo

«He’s back» twittavano, in ottobre, le sue fans. Che sono parecchie. Felici che abbia ripreso a sfilare con il suo marchio eponimo, Olivier Theyskens, abbandonat­o una quindicina di anni fa. Felici perché lui è bravo, bello e per bene. Impossibil­e non «like-arlo». Quando a 24 anni, nel 2002, lo chiamarono da Rochas, Parigi era tutta un’eccitazion­e: «Voilà le nouveau enfant prodige» dicevano e als uo show dovevi esserci. Più giovane di lui, a dirigere una maison c’era stato un «certo» Yves Saint Laurent, chiamato da Dior a 21 anni. Poi nessuno, sino all’ultima generazion­e degli stilisti-ragazzi, under 25: il primo fu Nicolas Ghesquière (ex Balenciaqa, nel’97) e l’ultimo Olivier Rousteing (Balmain, nel 2011). Tipologia precisa, della tripla «b» : bravi, belli, bene. C’è chi obietta oggi (dimentican­dosi di Yves) che questo non è rispettoso. «Quando ho cominciato ero troppo sicuro di me, è vero. Ma poi capita che un giorno sbatti contro un muro e tutto si riequilibr­a: dovevo stare vent’anni e dopo quattro ero già fuori». E sorride ripensando a tutto quello che c’è stato dopo: l’allontanam­ento da Rochas

e poi i tre da Nina Ricci e infine i quattro da Theory a New York. È che voi stilisti un po’ degli dei vi sentite: «Fa parte del nostro mestiere avere una visione e difenderla sino allo stremo. Perché vuoi arrivare a farla capire al maggior numero di persone. E in questo credo che i giovani siano interessan­ti perché alla fine sono assoluti. Sono esplosivi. E capisco che possano anche essere pericolosi per il futuro del marchio. Puoi comunque adattarti, specie se accanto a te c’è chi ha più consapevol­ezza dei bisogni della maison e del consumator­e».

La leggenda racconta che si mise a fare abiti con la macchina da cucire di sua madre e che per stare dietro agli ordini interruppe gli studi a Lacambre a Bruxelles. «Era una Pfaff del 1972 — ricorda —. Facevo più cose possibile. Un’agenzia di comunicazi­one li volle e subito furono pubblicati. La prima collezione era l’estate 1998 e avevo 20 anni. L’anno dopo sfilai e poi in show room entrò il compratore dei magazzini Barney’s di New York e volle tutti i look. Peccato che non sapevo come produrli, così li usò per le vetrine. L’anno dopo ero pronto, da subito ho scelto l’Italia per la produzione, come

ora che ho ricomincia­to. Sono andato a ricercare tutti i miei fornitori e gli artigiani». Per questo il suo italiano è perfetto.

Il suo futuro, oggi, dopo che avuto così tanto da giovane? Sospira e sposta dietro le spalle i lunghi capelli neri da sioux e sgrana i grandi occhi scuri da uomo del Sud, malgrado sua madre sia francese e suo padre belga: «Focus sul mio marchio. Spero la gente mi faccia un po’ di spazio». Tempi confusi, però: «Terribili direi. Si cercano altre strade per esempio il see now, buy now che eviterà il problema delle copie, ma non trovo sia una soluzione sexy per svoltare. Il cliente non è un bambino capriccios­o che vuole tutto subito. Non vedo il lusso come una consumazio­ne veloce ma come un desiderio che cresce nel tempo. Noi dobbiamo solo renderlo forte occupandoc­i della qualità e della creatività. Io ora sono come una start-up. Ho una visione semplice, ma coerente e onesta. Sfilo due volte l’anno e mi prendo il tempo necessario. Il lusso democratic­o? Abbassare i prezzi? Il cliente oggi sa riconoscer­e una fucking bag da una borsa che vale. Esista una cultura della qualità. Come con la cucina, la gente sa».

Gotico, romantico, femminile: è il suo stile. «Sono cresciuto fra donne. Detesto la volgarità e mi piace l’intelligen­za. Quando disegno un abito entro nel ruolo, un po’ come un attore. E vorrei che tutte trovassero qualcosa per sé». Invidia le donne? «Da ragazzo avrei voluto essere una principess­a, mi sentivo nel corpo sbagliato. Ora guardo le mie amiche e vedo quanto lavorano per far conciliare tutto e sono contento di chi sono».

«Non vedo il lusso come consumazio­ne veloce, ma desiderio che cresce nel tempo»

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Look 2 Abiti fra il bianco e il nero del gotico e del perbene
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Look 1 La donna di Olivier Theyskens è molto femminile

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