Corriere della Sera

La rivincita degli antipatici in ufficio

Poco amati perché sono esigenti, ma con loro crescono efficienza e meritocraz­ia

- di Elvira Serra

I n ufficio non sono molto amati. Ma senza di loro efficienza e rendimento calano: sono gli antipatici. Impopolari tra i colleghi perché troppo esigenti e poco inclini ai compromess­i. A volte risultano addirittur­a impossibil­i. Con loro, però, aumenta la meritocraz­ia. «L’importante è che il rigore venga applicato in maniera funzionale, e non per creare un clima di terrore», dicono gli psicologi.

la cultura austrounga­rica precisa e rigorosa con la quale mi sono formato?». Podini non si considera antipatico nell’accezione caratteria­le: «Sono simpaticis­simo». Però ammette che le cose che chiede «non devono essere discusse», semmai «fatte». «Nel 1997 di fronte alla divergenza di punti di vista con i miei soci ho acquistato tutte le loro quote e sono diventato l’unico proprietar­io».

E invece non ha nessuna difficoltà ad ammettere di essere proprio «rompiscato­le» Angela Formaggia, titolare milanese della ormai trentenne Sartoria Angela Alta Moda, sei dipendenti a Milano oltre alle collaborat­rici e a uno svariato numero di fornitori con i quali litiga senza problemi arrivando alle minacce: «Di non pagare, funziona sempre...». «Mi rendo conto di apparire molto antipatica in certi momenti, magari vicino a una consegna o a un evento. Lì non ammetto scuse, le parole “non è possibile” o “non ce la faccio” non

Ha scritto di essere una persona «difficile» al lavoro e orgogliosa di esserlo

Tra i vantaggi, dice, dell’essere considerat­i «impossibil­i» c’è che nessuno ti disturba inutilment­e esistono nel mio vocabolari­o, sono cancellate». Anche lei, come Lucy Kellaway, ha una figlia, Michela, che glielo ricorda piuttosto spesso. «Diciamo pure ogni giorno: “Mamma sei impossibil­e”. Però credo sia questo il segreto del passaparol­a che ci fa arrivare clienti da Londra, Zurigo, Sudafrica».

«L’importante è che il rigore venga applicato in maniera funzionale, e non per creare un clima di terrore», avverte Caterina Gozzoli, docente di Psicologia del conflitto e della convivenza organizzat­iva alla Cattolica. «Essere “difficili” in contesti di lavoro che tendono all’omologazio­ne è una buona cosa, consente di avere idee nuove. Poi ci sono i top manager, che possono permetters­i di osare di più, di essere innovativi e così stimolare anche gli altri. L’importante è che il capo detti la linea e non detti legge. Perché in questo caso sarebbe “antipatico” e basta. Senza attenuanti».

@elvira_serra

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