Il tesoro segreto da 4,5 miliardi (che la ricerca utilizza poco)
Dalle università di Roma e Milano, fino al Cnr Le risorse utilizzabili dai centri di eccellenza
C’è un tesoro segreto nascosto nella ricerca italiana. E non è un tesoro fatto di formule, alambicchi o brevetti. È un tesoro di soldi: 4,5 miliardi di euro. Rappresentano la somma delle disponibilità liquide che, a vario titolo, enti di ricerca e università segnalano nei propri bilanci. Sono risorse «ferme». Non sfruttate dai centri di eccellenza: dall’Istituto nazionale di Fisica alla Sapienza di Roma, fino al Cnr. In parte — va ricordato — il denaro risulta vincolato a dipartimenti e progetti già avviati; ma il resto viene utilizzato come riserva.
C’è un tesoro segreto nella «povera» ricerca italiana. E non è una nuova scoperta scientifica: niente alambicchi, brevetti o algoritmi, ma soldi veri e propri. Non decine di milioni. Non centinaia. Ma miliardi: 4,5 per l’esattezza. Sono le disponibilità liquide che a vario titolo, in parte vincolate e in parte pienamente disponibili, gli enti di ricerca e le università pubbliche segnalano nei propri bilanci. La Sapienza ne ha 485 di milioni. Il Politecnico di Milano 359 e rotti. L’Università di Bologna 446. L’Università di Pisa 207. Il Cnr 456. L’Istituto nazionale di Fisica 351,9. La Statale di Milano 225. Tutti, grandi e piccoli, hanno il loro tesoretto accumulato: la Scuola superiore di Studi Sant’Anna di Pisa dispone di quasi 44 milioni. L’Agenzia spaziale italiana almeno 135. La partenopea Stazione Zoologica Anton Dohrn (il più antico acquario d’Italia, della fine dell’Ottocento) 28,8. È una cifra inattesa per la ricerca italiana, da sempre in odore di povertà. E intendiamoci: povera lo è se confrontata con quella degli altri Paesi. L’Italia investe solo l’1,8% del Pil, percentuale distante da Germania, Francia e da benchmark come Israele, il Paese che grazie a un 4% annuo è diventato in pochi anni un hub di innovazione mondiale. Dunque i fondi andrebbero aumentati, ma i 4,5 miliardi dei bilanci 2015, gli ultimi disponibili nella maggior parte dei casi, colpiscono anche se si confrontano con i 9,499 miliardi che ogni anno lo Stato italiano investe nella ricerca i (anche qui il dato è del 2015) e che in parte servono a pagare strutture amministrative elefantiache,
La destinazione In parte il denaro risulta vincolato a dipartimenti e progetti già avviati; ma il resto viene utilizzato come riserva
come nel caso del Cnr.
Il caso Genova
Il cosiddetto tesoretto di 450 milioni dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) che l’ex ministro per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca, Stefania Giannini, poco prima dell’uscita dal governo voleva «mettere a disposizione della ricerca» c’è, ma è in ottima compagnia. «Sono pienamente convinta che sia giunto il momento di ragionare sulla possibile destinazione di questi fondi, da rimettere in gioco per il mondo della ricerca di base. Questa — aveva detto l’allora ministro Giannini nel corso di un’audizione in Parlamento poco prima del referendum costituzionale parlando dell’Iit — mi sembra un’operazione non solo possibile ma auspicabile, me ne farò personalmente carico perché mi sembra corretto». La senatrice Elena Cattaneo che aveva preso di mira il «tesoretto» Iit dopo la querelle sullo Human Technopole milanese aveva subito aggiunto che si trattava di «denaro pubblico già iscritto al bilancio dello
Stato, dedicato alla ricerca pubblica che dopo anni tornerebbe finalmente disponibile». L’Iit in effetti ha accumulato i milioni nella fase iniziale di startup: essendo nato dal nulla su impulso dell’allora ministro Tremonti e della Lega, l’Istituto inizialmente non ha speso. La crisi del governo Renzi forse ha salvato i fondi Iit. Ma in realtà ha salvato tutto il mondo della ricerca perché, come un domino, il caso si sarebbe dovuto scaricare sugli altri.
Il confronto tra bilanci
Chiaramente le cifre non sono tutte perfettamente confrontabili. Le origini sono spesso diverse. I tempi di accumulazione anche. Alcune università per esempio vincolano parte dei fondi ai dipartimenti. Inoltre la disponibilità, di per sé, non è un’anomalia italiana: Harvard nel 2015 aveva 37 miliardi. Yale 25 miliardi. Princeton e Stanford 22. Ma quei sistemi sono privati e in ogni caso i bilanci italiani sono poco trasparenti: tutto viene messo in una voce unica, senza specifiche. E ora il timore che le risorse possano essere richieste in qualche maniera indietro sta agitando tutti. C’è aria di assalto alla diligenza e il rischio è che nel caos si depauperi la ricerca italiana ancora di più.
Lo scontro sulla meritocrazia
Negli ambienti universitari ci si sta confrontando non propriamente con toni accademici — su come utilizzare almeno gli avanzi annuali di bilancio per evitare che i tesoretti crescano: distribuendoli a pioggia o sulla base del merito? Al Politecnico di Torino la questione è finita con uno scontro. E dopo settimane di tensione, a dicembre, il prorettore dell’ateneo, Laura Montanaro, e il vicerettore alla Ricerca, Enrico Macii, hanno rassegnato le dimissioni in polemica con il rettore Marco Gilli. Intanto il senatore di Sinistra Italiana Fabrizio Bocchino sta portando avanti la sua proposta di legge denominata «Istituzione del Comitato interministeriale per le politiche della ricerca, dello sviluppo e dell’innovazione e costituzione dell’Agenzia nazionale della Ricerca».
L’articolo 16 è esplicito: Piano di riallineamento degli investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione. Obiettivo: concentrare i soldi. La proposta è stata assegnata alla commissione Istruzione. Mentre il neoministro dell’Istruzione Valeria Fedeli ha chiesto al Parlamento un parere sullo schema di decreto sulla definizione dei criteri di ripartizione della quota del Fondo ordinario destinata al finanziamento premiale di specifici progetti. Sulla base di questi stessi criteri la Statale di Milano ha appena perso 6 milioni rispetto al passato. Il dibattito è acceso. Qualcuno ha fatto i conti e ha visto che la somma vale la candela: 4,5 miliardi, più di quanto ci chieda l’Europa come manovra bis.
La polemica Sulla gestione dei fondi al Politecnico di Torino si è aperto uno scontro che ha portato alle dimissioni del prorettore