«Si, nò, un’altro strafalcione» L’italiano incerto dei miei studenti
Più degli errori, preoccupa la difficoltà di decodificare i testi scritti
La situazione è grammatica, si potrebbe dire riprendendo l’arguto titolo di un libro recente. Anche nel senso che improvvisamente la grammatica si è ritrovata al centro di un’attenzione che di solito non le viene riservata. E questa è un’ottima cosa, se è vero che — come scriveva Pessoa — «la fortuna di un popolo dipende dallo stato della sua grammatica».
Va detto, d’altra parte, che la situazione era già ampiamente nota. «Le lamentele sull’italiano approssimativo degli studenti costituiscono un topos abituale», si legge nella prima pagina di un libro del 1991 intitolato La lingua degli studenti universitari. Negli studi degli ultimi anni sull’italiano degli universitari vengono segnalati errori di tanti tipi. Mancanza di capoversi, punteggiatura assente o errata («un centro urbano, gode di maggiore prestigio»), usi impropri dell’apostrofo («un’altro»), dell’accento («si, nò») e delle maiuscole («alcuni Tratti»), fraintendimenti lessicali («tutte le mie speranze si sono assolte»).
Ma la questione più urgente riguarda la scarsa capacità di organizzare, o anche solo decodificare, adeguatamente un testo. Ovvero di argomentare il proprio pensiero e di interpretare — comprendendone il senso e lo scopo — quello degli altri. Vale a dire quegli aspetti che fanno della grammatica un elemento determinante non solo per la comunicazione e la socializzazione, ma anche per una cittadinanza consapevole.
Ecco perché diventa sempre più importante insegnare la grammatica finalizzandola alla produzione di testi. Solo che per far questo bisogna liberarsi di alcuni riflessi condizionati. Nessuno insegna più la geografia o le scienze come si faceva cinquant’anni fa: il mondo è cambiato, ci sono state nuove scoperte. Bene: è cambiato anche l’italiano, oltre a quello che sappiamo sul funzionamento delle lingue. La grammatica non è granitica, ma dinamica.
Che senso ha — ad esempio — demonizzare la tecnologia, quando è grazie alle nuove tecnologie che la scrittura è entrata davvero a far parte delle nostre vite? Tutto acquista un’altra concretezza se lo si mette in relazione con i testi reali. Resta grave, ovviamente, sbagliare l’uso di una acca o di un accento (anche se nel segreto della tua tastiera, la prof non ti vede: il correttore automatico sì). Ma ancora più grave è che la scrittura dei messaggini stia abituando i ragazzi a una testualità spezzettata, incompleta, insufficiente.
E allora si potrebbe partire dal confronto tra questi testi e quelli tradizionali, per far capire come si costruisce un testo compiuto ed efficace: che abbia un inizio, uno svolgimento e una fine. Si potrebbe insistere un po’ di meno sulla differenza tra complemento di compagnia e di unione e un po’ di più su quei connettivi che servono a stabilire i rapporti logici tra le varie frasi. Smettere di dire che lui e lei non possono essere usati come soggetto e spiegare bene i casi in cui il soggetto di una frase deve essere esplicitato.
Ogni livello della grammatica — dalla punteggiatura al lessico, dalla coniugazione dei verbi alla costruzione della frase — può essere orientato verso questo obiettivo. Anche per evitare la sensazione di un eccessivo scollamento tra l’essere e il dover essere, tra la norma e l’uso, tra la scrittura scolastica e quella di tutti i giorni. La sensazione di una doppia verità, infatti, rischia di alimentare atteggiamenti di lassismo e rinuncia: «tanto la grammatica che insegnano a scuola nella vita vera non serve …».
Per mostrarsi vitale (in ogni senso) la grammatica deve accettare la sfida con la lingua in cui viviamo. Se la situazione è grammatica, la grammatica dev’essere all’altezza della situazione.
La sfida La grammatica va rispettata, ma deve accettare la sfida con la lingua in cui viviamo