Duelli su strategie e misure In Consiglio dei ministri le sfide del congresso dem
E Lotti chiede un profilo di sinistra: ci sono le elezioni
Tutti in Consiglio hanno chiesto la parola, e tot capita tot linee, ognuna con una sfumatura diversa dalle altre, ennesima prova generale di un congresso itinerante che Renzi svolge in Rete con i suoi hashtag, che i gruppi tengono in Parlamento con i loro contrapposti documenti, e che i ministri hanno pensato di portare anche a Palazzo Chigi. Queste strane assise delocalizzate del Pd stanno già producendo effetti politici e sbalzi d’umore personali.
A Padoan, per esempio, la letterina contro la manovrina scritta da alcuni fedelissimi di Renzi ha cambiato la giornata. Il titolare dell’Economia l’ha presa come una sfida pubblica che faceva seguito a ruvidi conversari riservati con il leader del Pd, al quale aveva spiegato che rientrare dello 0,2% con i conti dello Stato è più conveniente che rimetterci con l’aumento dello spread: «Eppoi in questi anni — è sbottato in Consiglio — l’Europa ci ha garantito miliardi di flessibilità e noi ora dobbiamo rispettare i patti».
L’invito a partecipare alla direzione dem, fatto dal segretario, sembra un gesto conciliatorio verso Padoan. Sembra, perché poi bisognerà vedere quale piega prenderà il dibattito nel partito. Nel governo invece a Gentiloni tocca lenire, sopire, troncare. Serve un approccio zen per reggere alle tempeste quotidiane: nei giorni scorsi, sul finanziamento della Ryder Cup di golf, si era scatenato l’inferno tra quanti avevano visto in quell’emendamento presentato al Senato un tentativo di sabotaggio dell’esecutivo, e quanti avevano vissuto l’accantonamento della norma come ulteriore prova di complotto anti-renziano.
Servirebbe un hacker per sapere cosa dice al segretario del suo partito il premier, che in Consiglio — anche ieri — ha parlato solo per dare la parola ai suoi ministri. Ed è sui decreti proposti da Minniti che si è apparecchiato il palco congressuale. «Su questi provvedimenti c’è il benestare di Renzi», ha esordito il titolare del Viminale, come a far capire che nessuno avrebbe potuto obiettare sulla loro approvazione. E infatti nessun suo compagno di partito ha osato porre veti. Ma tutti hanno voluto partecipare a un dibattito che — in certi momenti — ha spostato le lancette indietro di dieci, anche di venti anni, con
L’avvertimento Il ministro dell’Interno avverte i colleghi: su questi provvedimenti c’è il benestare di Renzi
rimandi alla linea politica dei Ds e persino del Pds su cui il ministro dell’Interno si è intrattenuto con il compagno Orlando.
Ovviamente ogni citazione del passato era un modo per parlare di presente e di futuro. Così il Guardasigilli si è fatto interprete dell’ortodossia di sinistra quando ha chiesto l’abrogazione del reato di immigrazione clandestina, sottolineando che «non è con le pene che si può garantire la sicurezza». L’area cattolica si è fatta sentire con Franceschini, che cristianamente ha posto la questione del ricongiungimento familiare per gli immigrati regolari. Delrio e la Madia hanno obiettato invece sullo strumento della decretazione, considerata «eccessiva» dal ministro delle Infrastrutture per il testo sulla sicurezza urbana. Un testo che ha suscitato la preoccupazione dalla titolare per la Pubblica amministrazione: «Non vorrei apparisse come un segno di cedimento alle tesi della Lega».
Forse voleva dire un cedimento alle tesi di Alfano, se è vero che i due provvedimenti — come Minniti ha ricordato citando più volte il suo predecessore al Viminale — erano già stati elaborati in estate dall’Interno e fermati in attesa del voto sul referendum costituzionale. In ogni caso, ci ha pensato Lotti a dare un indirizzo renziano al dibattito, concentrandosi — manco a dirlo — sul tema della comunicazione, e raccomandandosi sul modo in cui si sarebbero dovuti presentare i decreti alla stampa: il Pd deve tenere un profilo di sinistra, «visto che ci saranno le elezioni».
Non è chiaro se il titolare dello Sport si riferisse alle Politiche o alle Amministrative. Nel dubbio Gentiloni ha fatto comunque accantonare il palco congressuale senza chiedere oltre. Il premier non dà pretesti alle polemiche, dà invece la spinta ai ministri per presentare provvedimenti, offrendo l’immagine di un governo che è impegnato a fare. «A fare le cose del governo Renzi», ha argomentato il ministro Calenda in Consiglio. È questo il punto: il modo in cui interpreta il suo ruolo, rende Gentiloni inafferrabile. E più sale nei sondaggi, più è difficile farlo cadere. Perciò congresso.