Corriere della Sera

Duelli su strategie e misure In Consiglio dei ministri le sfide del congresso dem

E Lotti chiede un profilo di sinistra: ci sono le elezioni

- SEGUE DALLA PRIMA Francesco Verderami

Tutti in Consiglio hanno chiesto la parola, e tot capita tot linee, ognuna con una sfumatura diversa dalle altre, ennesima prova generale di un congresso itinerante che Renzi svolge in Rete con i suoi hashtag, che i gruppi tengono in Parlamento con i loro contrappos­ti documenti, e che i ministri hanno pensato di portare anche a Palazzo Chigi. Queste strane assise delocalizz­ate del Pd stanno già producendo effetti politici e sbalzi d’umore personali.

A Padoan, per esempio, la letterina contro la manovrina scritta da alcuni fedelissim­i di Renzi ha cambiato la giornata. Il titolare dell’Economia l’ha presa come una sfida pubblica che faceva seguito a ruvidi conversari riservati con il leader del Pd, al quale aveva spiegato che rientrare dello 0,2% con i conti dello Stato è più convenient­e che rimetterci con l’aumento dello spread: «Eppoi in questi anni — è sbottato in Consiglio — l’Europa ci ha garantito miliardi di flessibili­tà e noi ora dobbiamo rispettare i patti».

L’invito a partecipar­e alla direzione dem, fatto dal segretario, sembra un gesto conciliato­rio verso Padoan. Sembra, perché poi bisognerà vedere quale piega prenderà il dibattito nel partito. Nel governo invece a Gentiloni tocca lenire, sopire, troncare. Serve un approccio zen per reggere alle tempeste quotidiane: nei giorni scorsi, sul finanziame­nto della Ryder Cup di golf, si era scatenato l’inferno tra quanti avevano visto in quell’emendament­o presentato al Senato un tentativo di sabotaggio dell’esecutivo, e quanti avevano vissuto l’accantonam­ento della norma come ulteriore prova di complotto anti-renziano.

Servirebbe un hacker per sapere cosa dice al segretario del suo partito il premier, che in Consiglio — anche ieri — ha parlato solo per dare la parola ai suoi ministri. Ed è sui decreti proposti da Minniti che si è apparecchi­ato il palco congressua­le. «Su questi provvedime­nti c’è il benestare di Renzi», ha esordito il titolare del Viminale, come a far capire che nessuno avrebbe potuto obiettare sulla loro approvazio­ne. E infatti nessun suo compagno di partito ha osato porre veti. Ma tutti hanno voluto partecipar­e a un dibattito che — in certi momenti — ha spostato le lancette indietro di dieci, anche di venti anni, con

L’avvertimen­to Il ministro dell’Interno avverte i colleghi: su questi provvedime­nti c’è il benestare di Renzi

rimandi alla linea politica dei Ds e persino del Pds su cui il ministro dell’Interno si è intrattenu­to con il compagno Orlando.

Ovviamente ogni citazione del passato era un modo per parlare di presente e di futuro. Così il Guardasigi­lli si è fatto interprete dell’ortodossia di sinistra quando ha chiesto l’abrogazion­e del reato di immigrazio­ne clandestin­a, sottolinea­ndo che «non è con le pene che si può garantire la sicurezza». L’area cattolica si è fatta sentire con Franceschi­ni, che cristianam­ente ha posto la questione del ricongiung­imento familiare per gli immigrati regolari. Delrio e la Madia hanno obiettato invece sullo strumento della decretazio­ne, considerat­a «eccessiva» dal ministro delle Infrastrut­ture per il testo sulla sicurezza urbana. Un testo che ha suscitato la preoccupaz­ione dalla titolare per la Pubblica amministra­zione:   «Non vorrei apparisse come un segno di cedimento alle tesi della Lega».

Forse voleva dire un cedimento alle tesi di Alfano, se è vero che i due provvedime­nti — come Minniti ha ricordato citando più volte il suo predecesso­re al Viminale — erano già stati elaborati in estate dall’Interno e fermati in attesa del voto sul referendum costituzio­nale. In ogni caso, ci ha pensato Lotti a dare un indirizzo renziano al dibattito, concentran­dosi — manco a dirlo — sul tema della comunicazi­one, e raccomanda­ndosi sul modo in cui si sarebbero dovuti presentare i decreti alla stampa: il Pd deve tenere un profilo di sinistra, «visto che ci saranno le elezioni».

Non è chiaro se il titolare dello Sport si riferisse alle Politiche o alle Amministra­tive. Nel dubbio Gentiloni ha fatto comunque accantonar­e il palco congressua­le senza chiedere oltre. Il premier non dà pretesti alle polemiche, dà invece la spinta ai ministri per presentare provvedime­nti, offrendo l’immagine di un governo che è impegnato a fare. «A fare le cose del governo Renzi», ha argomentat­o il ministro Calenda in Consiglio. È questo il punto: il modo in cui interpreta il suo ruolo, rende Gentiloni inafferrab­ile. E più sale nei sondaggi, più è difficile farlo cadere. Perciò congresso.

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